di Vittorio B. Stamerra
La questione, quella di una possibile scissione nel Pd è nell’aria, e non da oggi. Sinora però non è accaduto niente. L’unica scissione, ufficialmente documentata qualche mese addietro dalla dirigenza del partito, è quella degli iscritti che a migliaia non hanno più rinnovato la tessera al partito. Ad essi si è unita tutta, o quasi, la dirigenza intermedia locale di estrazione Pci-Pds-Ds che nell’attuale partito non si ritrova per niente e ha scelto la strada dell’autopensionamento. Diverso invece il discorso per i gruppi parlamentari, dove solo in tre o quattro hanno avuto il coraggio di andarsene. La medaglietta di parlamentare, come si sa, aiuta a digerire anche le pietre.
Quanto questa sofferenza oggettiva pesi sulla qualità della militanza, e se conti davvero i due milioni di voti persi da Renzi di cui parla l’on. D’Alema, non è materia del vostro cronista ma dei professionisti del sondaggio. Da qualche tempo anch’essi in crisi di credibilità.
Quello che non mi convince è il mettere al centro di tutte le analisi sulla crisi italiana, il confronto, sia pure aspro e polemico, esistente dentro il Pd. Come se la crisi economica, il vecchiume nella, macchina dello Stato, la disoccupazione, la crisi della politica etc. dipendessero dalle nostalgie di D’Alema o le disubbidienze di D’Attorre o Casson. Una trappola mediatica nella quale ci stanno cascando parecchie “prime firme” (qualcuna scambia addirittura le colonne di un giornale per occasioni da “lectio magistralis”) che trasformano una normale dialettica di partito, sia pure a volte pesante, nella ragione degli attuali, che attuali non sono perché durano già da almeno una decina di anni, guai del paese. Tutto quello che è accaduto in questi venti e passa anni, è cancellato, rinchiuso in uno sbrigativo: “tutta colpa del berlusconismo e dell’antiberlusconismo”. Uno slogan efficace solo per i convegni di Cl, non certo per le analisi politiche e i libri di storia. Se l’appeal tra Matteo Renzi, il suo governo e il suo partito e il Paese sta attraversando un periodo di stanca dopo il magnifico 41 per cento delle elezioni europee del 2014, la colpa non è certamente del povero Bersani e dei suoi ultimi resistenti. Le ragioni sono diverse, e ricercarle nelle sole liti del Pd, che sinora non hanno cambiato di un sol millimetro le strategie renziane, non solo è sbagliato e a volte strumentale, ma significa anche non tenere in nessuna considerazione (errore grave!) ciò che in questi mesi si sta muovendo dall’altra parte.
Ma una campagna mediatica come quella in atto, non avrebbe senso se dietro non ci fosse un disegno di alto profilo. Possibile che tante “prime firme” scendano in campo solo per ricordare ai lettori la storica ed autolesionistica litigiosità della sinistra? Con ciò ammonendo sui danni che ne potrebbero derivare al disegno innovatore del riformista Matteo Renzi? Valgono davvero tanto questi 28 nostalgici di Palazzo Madama, sia pure insieme al fronte delle opposizioni? Conoscendo quello che è accaduto nel passato anche da quando Matteo Renzi è a Palazzo Chigi, il frazionamento delle correnti, il mercato dei consensi parlamentari e le manovre varie, c’è qualcosa che non quadra. La scissione è certamente ciò che qualcuno persegue, da una parte e dall’altra, ma un conto è pensarla un altro praticarla. Lo sanno tutti quelli che da Palazzo Barberini in poi l’hanno provata.
E allora? Allora si stanno creando le condizioni per una trasformazione radicale della mappa della politica per i prossimi anni. Ancora niente di contornato nei suoi margini, ma tante novità. In primo luogo la tendenza a trasformare ogni campagna elettorale in veri e propri referendum. Se poi al singolo candidato si collega una sola lista, ecco che l’Italicum trova la sua migliore esplicitazione. La via italiana all’elezione diretta del capo del governo. Con il suicidio finale dei partiti. Quanto questo sia in linea con la Costituzione, noi non lo sappiamo. Ma questo è nell’aria. Da qui la discesa in campo delle “prime firme”.
Anche riferendosi a una simile prospettiva, già parla di fine dell’esperienza del partito di Alfano. In caso di elezioni anticipate, se si votasse con l’Italicum, Alfano e soci invece di presentarsi da soli, rischiando di sparire, accetterebbero di entrare nelle liste del Pd, magari anche con gli amici di Verdini, ed altri ancora. Una riedizione moderna della Democrazia Cristiana. Dicono da più parti, non solo da sinistra, anche se Renzi assicura la componente laica del suo partito sulla riforma dei diritti civili. Ma se il disegno strategico di Renzi è quello di una nuova dc, lo strappo finirà con il diventare scontato. Ma è questo che davvero vuole? Avrebbe già forzato la mano. Senza escludere che in queste settimane non tiri fuori, lui che del «Principe» Machiavelli è autorevole concittadino, un compromesso che accontenti entrambe le parti in campo. Quell’«uniti si perde, insieme si vince» di leninista memoria, direbbe chi se ne intende.
















