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Lo Stato per tutti, le Regioni per sé

 
Sergio Lorusso

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Sergio Lorusso

Lo Stato per tutti, le Regioni per sé

Molti Governatori sono obnubilati dal loro ruolo di manovratori delle leve del potere. Manca loro quel realismo che molti cittadini attendono, per uscire al più presto dal tunnel della pandemia

Mercoledì 24 Marzo 2021, 15:21

Neanche la conduzione “a trazione diretta” di Mario Draghi sembra riuscire a sconfiggere l’“uno per tutti, ciascuna per sé” in materia di gestione della pandemia che le Regioni stanno mettendo in atto vanificando gli sforzi del governo e della task force di recente nominata dal premier.

Se alla base c’è il famigerato Titolo V della Costituzione, riformato nel 2001e trasformato in una norma oscura persino a sé stessa, non si può negare che un peso determinante lo abbia un fattore “C”, culturale e di consenso, che muove in ordine sparso l’azione dei vari Governatori – che Governatori poi non sono, non essendo il nostro uno Stato federale – disseminati sul territorio della Penisola. Fattore “C” come culturale. Riesce evidentemente difficile pensare alla battaglia contro il Covid-19 come ad una battaglia unitaria, straordinaria, drammatica, dell’intero Paese, da combattere uniti e non ciascuno per proprio conto, quasi sabotando chi, nel governo centrale, agisce nell’interesse di tutti. “C” come consenso. Anche tale battaglia, un po’ cinicamente, viene combattuta con uno sguardo ai vantaggi in tema di popolarità, di bacino elettorale da coltivare: siamo i più bravi, siamo i primi in … (c’è sempre un parametro tra i tanti, del resto, in cui ciascuna Regione eccelle).

La Corte costituzionale lo scorso 24 febbraio ha affermato che spetta allo Stato e non alle Regioni disporre le misure necessarie al contrasto della pandemia, dichiarando contraria alla Carta fondamentale una legge regionale della Valle D’Aosta che consentiva misure di contenimento del contagio da Covid-19 differenti da quelle statali, non potendo il legislatore regionale invadere una materia affidata interamente alla competenza esclusiva dello Stato in quanto attinente alla profilassi internazionale, ma ciò non è bastato a sradicare usi e costumi delle élite territoriali che scambiano le Regioni per Stati federati (i quali, peraltro, non agiscono a loro volta indisturbati). Salvo rovesciare sul potere centrale ogni défaillance della lotta alla pandemia, com’è accaduto per la Lombardia (poi clamorosamente smentita).

E la distribuzione più o meno efficiente dei vaccini nelle categorie più a rischio, con percentuali di inoculazione agli antipodi tra Regioni virtuose ed altre meno? Come dire, bisogna essere fortunati ad essere nati nella Regione giusta. Così come i criteri di priorità nella vaccinazione per classi territorialmente mutevoli, secondo latitudine e longitudine (ma poi perché? Il rischio di contrarre il Covid-19 non è lo stesso per chi svolge la medesima attività al Nord, al Centro o al Sud?). Anche qui il caso, nonostante la necessità.

Sono di questi giorni le pressioni del governo sulle Regioni per una regia unica in materia. Pressioni in larga parte inascoltate. Un atto di umiltà delle singole realtà territoriali potrebbe consentire il recepimento delle direttive centrali, rimandando a tempi migliori le strategie di accaparramento delle simpatie popolari. Le Regioni si dovrebbero rapidamente spogliare di competenze spesso agitate in maniera sterile, lasciare il passo a un’azione forte e decisa del governo. Perché mai una fornitura di vaccini effettuata a livello nazionale dovrebbe essere gestita localmente secondo criteri differenziati?

A parte le considerazioni giuridiche, si tratta di un atto di opportunità.
E invece no, tutto sembra e risulta difficile, si continua a fare – per quanto possibile – in piena autonomia, non solo in punto di vaccini, peraltro con effetti non di rado disastrosi. Ma, si sa, è difficile riconoscere le sconfitte. Non tutti sono Winston Churchill, che dai propri errori traeva – con onestà intellettuale – la forza per ritornare sul palcoscenico della vita pubblica più forte di prima (fino al completo fallimento «il destino è nelle mie mani e posso ricominciare da zero»).

Questo pallido e inutile (anzi, dannoso) campionato delle Regioni continua così stancamente, ad oltre un anno dall’inizio della pandemia. Si è giocato prima sul terreno delle aperture e chiusure delle scuole, poi di bar e ristoranti, quindi sull’orario d’inizio del coprifuoco, e poi ancora, con l’Italia in versione multicolor, ecco emergere con forza le pressioni per scalare la classifica e la richiesta di modificare i parametri ritenuti inadeguati (naturalmente ciascuno come Cicero pro domo sua). Ora sulle modalità di effettuazione della campagna vaccinale. Con effetti che rischiano di essere disastrosi. Ogni ritardo in questo campo – come abbiamo imparato dalla vicenda AstraZeneca – significa moltiplicazione dei casi (anche gravi) di Covid-19 e perdita di vite umane. Non è catastrofismo, è realismo.
Quel realismo che manca a molti Governatori, obnubilati dal loro ruolo di manovratori delle leve del potere. Quel realismo che molti cittadini attendono, per uscire al più presto dal tunnel della pandemia.

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