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Quel conflitto senza fine tra i poteri dello Stato

 
Sergio Lorusso

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Sergio Lorusso

Piano ripresa Sud ignorato, così affonda tutta l’Italia

Neanche l’arrivo al governo di Mario Draghi è riuscito infatti a placare lo scontro infinito tra potere centrale ed enti territoriali

Mercoledì 24 Febbraio 2021, 14:50

Se vi era ancora qualche dubbio che il rapporto tra Stato e Regioni fosse claudicante, se non impraticabile, l’emergenza da Covid-19 l’ha spazzato via. E il poco edificante spettacolo continua indisturbato. Neanche l’arrivo al governo di Mario Draghi – con l’autorevolezza e il rispetto che la sua figura suscita – è riuscito infatti a placare lo scontro infinito tra potere centrale ed enti territoriali, che ha costituito finora uno dei capitoli meno esaltanti della gestione di una terribile emergenza. Flebile il suono della campanella nel passaggio tra Conte e Draghi in questo ambito, assai duro sarà – al di là dei proclami e delle aspettative – il compito di Super-Mario nel cercare di tenere a freno le indisciplinate Regioni che, forti delle competenze conferitele da una riforma disgraziata del 2001, giocano al rialzo piuttosto che cercare soluzioni condivise nell’interesse comune.

Messa da parte la richiesta di rideterminare i criteri di attribuzione dei vari colori, si contesta ora da taluni l’intero sistema a fasce chiedendone la sostituzione con una zona arancione generalizzata, mentre altri criticano le altrui nuance di colore (ovviamente a proprio vantaggio). Quindi, una lotta anche tra Regioni. Si chiedono parametri più oggettivi. Si criticano i continui passaggi cromatici. C’è chi vuole maggiori restrizioni e chi, viceversa, che si allenti la presa. Quasi che il governo fosse un mero recettore degli input localistici, un notaio dei desiderata governatoriali.

Una matassa inestricabile, insomma, della quale non si riesce a venire a capo.
Il nuovo premier non ne ha parlato nel suo discorso di insediamento, ma una delle prime – se non la prima – riforme che occorrerebbe regalare al Paese sarebbe quella di ridisegnare in maniera chiara le competenze tra Stato e Regioni. È qui che possiamo ritrovare le origini del fenomeno e delle relative storture. Le competenze in materia di salute (come quella in materia di scuola) infatti rientrano tra le competenze concorrenti attribuite a Stato e Regioni.

Sia ben chiaro, le competenze concorrenti non sono un fenomeno solo italiano, ma da noi sono state disegnate in maniera farraginosa. Persino uno Stato federale come la Germania si preoccupa di garantire la funzionalità del sistema, prevedendo che in caso di contrasto in una delle numerose materie “in comune”, a prevalere è sempre la decisione del governo centrale (art. 72 della Legge fondamentale). In Francia, Stato centralista, esistono competenze concorrenti ma sono delineate in maniera chiara.
Molto semplice, dunque.

Ed invece, quella nebulosa riforma del 2001, nata per fronteggiare le aspirazioni federaliste di Umberto Bossi (e per favorire le Regioni più ricche del Nord, a scapito del vituperato Sud) ha generato oltre 1800 ricorsi alla Corte costituzionale dal 2001 ad oggi (spesso direttamente proporzionali nel numero all’affinità o meno della singola Regione al governo centrale), intasando i ruoli della Consulta e provocando quel caos del quale da un anno a questa parte tutti ci siamo resi conto poiché ne stiamo patendo le conseguenze. Cosa c’è di peggio di una norma fumosa (per giunta costituzionale) e dell’incertezza endemica che produce?

Anche uno Stato federale – abbiamo detto della Germania, ma lo stesso discorso vale per gli Stati Uniti d’America – funziona se ognuno sa cosa può e cosa non può fare. Paradossale che ciò non debba avvenire in uno Stato in fondo pur sempre centralista. È qualcosa di elementare, eppure dimenticato dal nostro legislatore un ventennio orsono. Competenze concorrenti, sì, ma ben delineate. A ciascuno il suo.
Insomma, si riesce a decidere.

Da noi, invece, per (non) imponderabili ragioni, non si riesce ad uscire dalla logica dei tavoli e della concertazione. Dalla mitica Conferenza Stato-Regioni, che cerca di lenire i limiti di un improprio decentramento sbilenco. E questo anche quando si tratta di tutelare la salute pubblica, bene che in una situazione di emergenza pandemica riguarda – per definizione – ogni centimetro quadro del territorio.

Il duello Stato-Regioni, poi, si è trasferito anche davanti agli onnipresenti TAR, aggravando lo stato di ordinaria disarmonia.

Come sul terreno dell’istruzione. Anch’essa rientrante tra le materie a competenza concorrente, la scuola assiste inerme ad una serie di scelte così variegate da tradursi in un vero e proprio zibaldone: Dad, Dad dimezzata, didattica in presenza “a sportello”, didattica in presenza semplice, scuola “fai da te”. Mentre docenti e studenti gradirebbero – ove possibile – soluzioni omogenee. Facendo volentieri a meno di un TAR che – come accaduto ieri in Puglia – addita di contraddittorietà un’ordinanza regionale rimandando tutti in aula.

Un assetto bizantino dei rapporti tra i poteri dello Stato è destinato a far impantanare ogni azione di governo, a rallentare (se non a impedire) scelte coerenti indispensabili in momenti come questi, a regalare attimi di notorietà ai governatori a scapito di interventi efficaci.
Certo, ci vorrebbe anche un po’ di saggezza e di responsabilità.
Ed invece a prevalere è un “pasticciaccio” in salsa tricolore.

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