Nel fragore della grancassa mediatica la sfida al virus è cominciata. La giornata di ieri è stata riempita da immagini di siringhe nelle braccia di infermiere, anziane, medichesse. Da Bari a Cologno, chissà perché, tutte donne. Da ieri non si gioca più in difesa, come è stato fino a oggi. Proveremo a passare all’attacco e a ribaltare quella è l’indiscussa vittoria dell’avversario invisibile: quasi 72mila morti solo in Italia, oltre due milioni di contagiati e intere filiere produttive ridotte in macerie. Fin qui la nuova Caporetto, ora dovrebbe partire il capovolgimento di fronte, che però – proprio come sul Piave – prenderà ancora altre vite innocenti e richiederà altri sacrifici.
L’Italia, soprattutto, non dovrà ripetere gli errori commessi nei mesi scorsi. Far partire la vaccinazione in contemporanea in tutta Europa è un bel segnale politico, ma nasconde molte insidie. La prima è data dai numeri: al nostro Paese sono state assegnate da subito nemmeno 10mila dosi di vaccino, alla Germania 150mila, alla Francia 19.500, alla Danimarca 40mila, alla Spagna 350mila a settimana. Diciamo che quantomeno non c’è proporzione fra diffusione del virus e numero di fiale.
È vero che dalla prossima settimana le forniture dovrebbero diventare più regolari e massicce, ma è anche vero che chi parte avanti se ne avvantaggia in tutto.
Un’altra insidia è data dalla complessità della «macchina vaccinale»: dalla conservazione al trasporto, fino alla puntura nel braccio. Un percorso difficile, in cui il farmaco deve restare a temperature polari. Occorrono competenze, attrezzature, organizzazione e programmazione. Settori in cui l’Italia ha mostrato talvolta limiti imbarazzanti, perdendosi fra consulenti, task force e spese inutili.
Ma se ai numeri e alla programmazione si può trovare rimedio, c’è un’insidia imponderabile: quanti italiani accetteranno di vaccinarsi. La legge del buonsenso porterebbe a escludere questo tema dall’agenda dei problemi. In realtà potrebbe diventare il principale. La scelta del governo di non rendere obbligatoria la vaccinazione per alcuna categoria di persone è rispettosa delle libertà di tutti. Ma se ogni libertà trova l’unico limite nelle libertà altrui, una mancata vaccinazione mette a rischio l’incolumità di tanti altri. E non parliamo di rischi trascurabili o improbabili. I dati della vaccinazione antinfluenzale, reclamizzata ed enfatizzata a sufficienza, non sono ancora completi anche a causa dei noti ritardi nella fornitura dei farmaci. L’anno scorso si è immunizzato contro l’influenza stagionale il 16,8% degli italiani, percentuale ben lontana dalla soglia minima di sicurezza del 75% e da quella ottimale del 95%. Contro il Covid andrà diversamente? La risposta è sì, ma è necessario che si raggiunga almeno quel traguardo minimo del 75%, cioè serve l’adesione di 45 milioni di persone. Purtroppo sui social e in diversi blog si leggono sempre più spesso i post farneticanti di una folla di negazionisti cui andrà ad aggiungersi la folta schiera di no vax. Un’altra battaglia importante dovrà essere combattuta proprio contro costoro, che non sono né pochi né ininfluenti.
L’ultima insidia da mettere in conto è rappresentata dal sistema mediatico. L’informazione sempre più urlata e monotematica, così come esalta giustamente un momento importante come l’avvio delle vaccinazioni anti-Covid, si comporterà allo stesso modo con ogni altro evento legato a esse.
Nel novembre del 2014, dopo la morte in sequenza di cinque anziani che si erano sottoposti alla vaccinazione contro l’influenza, si scatenò il pandemonio. I media crearono un inesistente rapporto di causa-effetto che portò l’Aifa a bloccare uno dei vaccini in commercio. Il risultato fu che quell’anno moltissimi anziani rinunciarono a proteggersi contro l’influenza e il numero delle vittime aumentò del 30%. Tutte le indagini dimostrarono l’assoluta sicurezza del vaccino e che quei 5 morti erano una sequenza casuale, ma ormai il danno era fatto. Un danno generato solo dall’ansia da scoop e dalla superficialità professionale. Allora bisognerà essere molto attenti a non prendere lucciole per lanterne, soprattutto a non enfatizzare eventuali reazioni o insorgere di malattie nei vaccinati, facendole passare per accertati effetti collaterali.
La stessa misura richiesta ai giornalisti dovrebbero mostrarla gli esperti presenti ormai in pianta stabile nei palinsesti televisivi. Anche certe trasmissioni, che sotto la nobile veste dell’informazione celano intenti politici, dovrebbero per una volta rispondere a un imperativo etico superiore. Non si può fare politica sulla pelle della gente e sulle sorti di una nazione.
Dicevamo della valenza simbolica del cosiddetto «V-Day». Va al di là del solo aspetto politico legato alla comunità europea. C’è soprattutto la scienza che si riafferma come strumento di pace e di convivenza degli uomini, sebbene in molte parti del mondo sia ancora a servizio delle guerre e dello sfruttamento dei popoli. Per gli scienziati il ripristino e la riaffermazione di un’etica sarebbe un auspicabile effetto collaterale, con o senza fracasso mediatico è irrilevante.