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L'ANALISI
+ Vito Angiuli (Vescovo di Ugento- S. Maria di Leuca)
25 Novembre 2020
Confesso candidamente che mi ha preso un moto di gioia la lettura dell’articolo del prof. Gianfranco Dioguardi sulla Gazzetta del Mezzogiorno dello scorso lunedì 23 novembre, intitolato “Oggi e domani alla ricerca della fede perduta”. Rendo merito al prof. Dioguardi di aver proposto una lettura profonda e, per certi versi, controcorrente rispetto a un modo superficiale e approssimativo di intendere il ruolo della Chiesa nella storia e la sua missione evangelizzatrice.
Metto in sequenza le affermazioni dell’articolo che mi sembrano più significative per la loro corrispondenza a una critica onesta, illuminata e sapiente di una realtà complessa e articolata come è la presenza della Chiesa e la sua azione lungo il corso dei secoli.
Innanzitutto, non posso non condividere l’analisi della società contemporanea proposta dal prof. Dioguardi, il quale, senza troppo giri di parole, scrive: «Oggi, come nel Medioevo storico, l’essere umano ha cancellato i valori essenziali dell’esistenza e vive in uno stato di perenne paura, di grande confusione etica, di assenza di qualsivoglia fede […] provocato anche dallo smodato uso della tecnologia e, in particolare, degli apparati dell’informatica digitale».
Mentre leggevo questo giudizio così tagliente, mi venivano in mente alcune analisi che si possono trovare in tanti documenti magisteriali pubblicati, a tutti i livelli di autorità e di autorevolezza, dai vari organismi della Chiesa, almeno a partire dagli anni ’70, proprio gli anni a cui si riferisce il prof. Dioguardi, a proposito del libro di Roberto Vacca che egli cita all’inizio del suo articolo. Sinteticamente, con Papa Francesco possiamo dire che «siamo non in un’epoca di cambiamenti, ma in un cambiamento d’epoca».
In una tale situazione è difficile mantenere l’equilibrio degli opposti, come accennerò più avanti.
Che dire poi del modo come viene considerato il Medioevo a fronte di quella vulgata troppo spesso ripetuta ai nostri giorni che lo dipinge come il periodo dei “secoli bui”, perpetuando un giudizio illuminista del tutto inverosimile e fuorviante? Ogni volta che si afferma un’idea differente dal “pensiero unico” che circola in gran parte della cultura contemporanea, subito si viene tacciati di essere “medievali”, volendo significare di essere una persona retrograda, reazionaria, oscurantista. Al contrario, per il prof. Dioguardi «il Medioevo antico ci ha lasciato la grande lezione di come l’atto di fede possa fondersi con la concreta realtà quotidiana». Insomma, la fede non è “l’oppio dei popoli” e nemmeno un astrarsi dalla storia o un abdicare alla propria umanità in vista di una felicità futura da godere in cielo, come invece insegnano i moderni “maestri del sospetto”, tanto in voga e osannati ai nostri giorni. Per il prof. Dioguardi, invece, «il mistero di una fede religiosa di cui l’essere umano avverte un inconscio bisogno» non solo è auspicabile, ma è addirittura necessaria «per ricostruire valori essenziali della vita umana vissuta in aspettativa di una esistenza futura».
Non posso infine non rallegrarmi nel leggere il giudizio positivo che il prof. Dioguardi formula sull’azione educativa operata dalla Chiesa nel Medioevo. In quel periodo, infatti, secondo l’Autore, «la Chiesa di Roma svolse un importante ruolo di salvaguardia delle coscienze» contro tutte le forme di anti umanesimo presenti anche in quel tempo. Consolante è il riconoscimento che la Chiesa ha portato avanti questa “salvaguardia dell’umano” soprattutto attraverso l’arte e la liturgia. In dialogo con l’on. Vittorio Sgarbi, il prof. Dioguardi si diffonde di più sull’aspetto artistico, io, invece, sottolineo l’importanza del ruolo educativo esercitato dalla liturgia.
È avvincente leggere un’espressione di questo tenore: oggi occorre «nuovamente confermare la fede cristiana e il mistero che la circonda così ben evidenziato nella liturgia della Santa Messa quando il vino e l’ostia simbolo del pane, emblemi del sangue e del corpo di Cristo, vengono consacrati “Mistero della Fede”».
Questi rilievi positivi non vogliono mettere sotto silenzio la critica allo stile della Chiesa contemporanea. Essa, secondo il prof. Dioguardi, avrebbe rinunciato a mettere in evidenza l’aspetto misterico della fede e la dimensione escatologica della vita cristiana, cadendo in un «buonismo sociologico e politico, già professato da molti, che ha portato e porta la gente ad abbandonare le funzioni religiose e la stessa fede in qualcosa di eterno consegnandosi invece alla pericolosa provvisorietà del quotidiano».
In altri termini, il professore chiede alla Chiesa di presentare con più insistenza il “mistero ineffabile della fede” e di parlare di più del Paradiso, come ammoniva san Filippo Neri nel bel film interpretato dal grande attore recentemente scomparso, Gigi Proietti. Come non dare ragione al prof. Dioguardi sulla necessità di parlare dell’eternità agli “abitatori del tempo”?
La verità, però, è che la fede cristiana è chiamata a un difficile compito: quello di “tenere insieme gli opposti”, secondo “la dottrina dell’opposizione polare”, formulata in modo eccellente dal grande teologo Romano Guardini, che Papa Francesco ha ripreso nella sua prima enciclica “Evangelii gaudium”. Al cattolico non è consentito proporre un “aut aut”, ma sempre un “et et”. Fare, però, la sintesi degli opposti non è facile né sul piano teorico né su quello pratico. La difficoltà, tuttavia, non esime dal dover proporre la giusta armonia tra tempo ed eternità perché non ne va di mezzo solo la fede, ma anche l’umano.
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