L'EDITORIALE

Il modello elettorale come capro espiatorio

giuseppe de tomaso

Da qualche lustro, c’è sempre una riforma (del voto) salvifica da varare, in grado di risolvere, manco avesse la bacchetta magica, ogni problema di governabilità, per consentire al Paese di rimettersi in marcia

Si sa. Quando le cose non funzionano sul campo di calcio, il capro espiatorio è l’allenatore, ultimo esempio il licenziamento di Maurizio Sarri da parte della Juve. Quando le cose non funzionano sul terreno politico-economico il capro espiatorio è il modello elettorale. Da qualche lustro, c’è sempre una riforma (del voto) salvifica da varare, in grado di risolvere, manco avesse la bacchetta magica, ogni problema di governabilità, per consentire al Paese di rimettersi in marcia. Eppure tutti riconoscono, compresi i più dichiarati riformatori, che anche la migliore delle leggi può «naufragare» nel classico buco nell’acqua se i suoi destinatari non sono armati di buone intenzioni, o perché si mettono di traverso o perché creano ostacoli strada facendo. Viceversa, la peggiore delle leggi può provocare meno danni del previsto se i suoi diretti interessati ne attutiscono gli effetti negativi comportandosi per il meglio, obbedendo alla legge morale che è dentro di noi. «Le leggi senza i costumi non bastano - avvertiva Giacomo Leopardi (1798-1837) - - e i costumi dipendono, sono determinati, fondati e principalmente garantiti dalle opinioni».

Ad ogni modo la farmacologia elettorale non è decisiva come un medicinale salvavita, specie in una nazione tradizionalmente poco curabile come la Penisola.

Assai più efficace, per la governabilità del sistema socio-economico, è un buon assetto costituzionale. Ma, anche su questo fronte, non è il caso di farsi eccessive illusioni sui ritocchi istituzionali. La Costituzione italiana non sarà una Carta da glorificare, visto che nomi prestigiosi del calibro di Luigi Sturzo (1871-1959), Gaetano Salvemini (1873-1957), Francesco Saverio Nitti (1868-1953) espressero non poche perplessità sulla sua impostazione eccessivamente programmatica, e poco procedurale, ma non è nemmeno una Carta da demonizzare, cioè da stracciare, visto che già contiene solidi anticorpi contro una gestione sciuèsciuè della finanza pubblica e del potere in genere.

Ad esempio. Da anni si accusa l’Europa di essere ossessionata dal rigore e dai conti in ordine, il che lascerebbe intendere che siano preferibili il lassismo e i conti in disordine. Bah. Ma l’articolo 81 della Costituzione italiana, ossia quello dell’equilibrio di bilancio, nello stabilire che ogni spesa può essere approvata solo se provvista di relativa copertura finanziaria, è assai più intransigente, in materia di finanza pubblica, dei trattati europei. Invece, a leggere gli interventi, le interpretazioni degli ultrà della flessibilità, che nei fatti sono i portabandiera del debito a oltranza, sembrerebbe che la Costituzione repubblicana, partorita da forze popolari, tutt’altro che elitarie, contenga il lasciapassare per ogni capriccio finanziario, per ogni desiderio di spesa dei governanti del momento.

Eppure, molti fra coloro che esaltano le virtù del debito sono i primi a osannare i princìpi e i contenuti della Costituzione italiana che, invece, non dimentichiamolo, considera il risparmio come un valore assoluto, da coltivare senza pentimenti e senza tentennamenti. Di sicuro i Costituenti, di tutti i colori politici, non erano attratti dai conti in rosso, né erano proclivi a sacrificare l’avvenire delle future generazioni per le spensieratezze e gli egoismi dei loro genitori.

A che serve, perciò, farsi catturare dalla nevrosi delle riforme se poi si trova sempre il modo di aggirarle come fa Leo Messi con le barriere di difensori davanti a lui? A che serve aprire un cantiere dopo l’altro, in materia di regole elettorali, se si troverà sempre la maniera di agire secondo i propri disegni in barba a ogni obiettivo prefissato nella riforma? Anche perché, ripetiamo, l’impianto costituzionale incide sul processo decisionale molto di più dell’impianto elettorale.

Ora è ritornato in auge il meccanismo proporzionale che, nel recente passato, era ritenuto più desueto e improponibile di una cabina telefonica. Sembra che non se ne possa fare a meno, anche perché la riduzione del numero dei parlamentari, che aspetta solo la sentenza referendaria di settembre, richiederebbe un intervento correttivo sul piano delle regole del gioco. Ma non è detto che il tentativo di eliminare il residuo di modello maggioritario ancora sopravvissuto, non possa essere ritirato, o fermato, di fronte a sondaggi o a imprevisti che sconsigliassero l’adozione della proporzionale pura (anche se attenuata da uno sbarramento d’ingresso da stabilire).

Insomma, l’impressione più fondata è che la classe politica si sia abituata, negli ultimi tempi, a considerare la questione elettorale come la vera arma di distrazione di massa, e che essa voglia attribuire alle norme, anziché a se stessa, le colpe della crisi strutturale del Belpaese.

Staremo vedere come finirà l’ennesimo ping-pong sulla legge proporzionale, ping-pong che interessa poco o punto all’opinione pubblica. Purtroppo, però, sono proprio i temi più astrusi, di più difficile comprensione da parte della gente comune, ad aiutare di più legislatori e decisori nella pratica di gettare il can per l’aia, in modo da dirottare altrove l’attenzione e gli sguardi di chi dovrà giudicare e votare.  

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