L'analisi

Il luglio caldo della politica tra resistenze e spallate

Francesco Giorgino

Da una parte c’è dunque lo schema della resistenza, frutto di veti incrociati e di guerre di posizione. Dall’altra c’è la voglia di dare una spallata al governo, confidando nel potere salvifico delle urne

Un rischio incombe su tutto e su tutti. Che tra il palazzo e i cittadini crescano le distanze. Che la politica non riesca più a percepire le urgenze, impegnata com’è nella realizzazione di strategie utili quasi esclusivamente alla conservazione del potere. Stupisce la disinvoltura con la quale si nutre il discorso pubblico di argomenti che appaiono lontani dai problemi quotidiani degli italiani. Si ha la sensazione che non ci sia vera consapevolezza dei pericoli legati a un autunno ingestibile sotto il versante economico e sociale.

Un tempo avremmo parlato della distanza tra il Paese reale e il Paese legale, oggi questa dicotomia è resa ancor più preoccupante dall’elevazione a paradigma dell’emergenzialità. Che da condizione eccezionale si trasforma in situazione strutturale per l’Italia, l’Europa e l’Occidente. L’agenda del pubblico non coincide più con le agende della politica e dei media. Le quali tendono a influenzarsi a vicenda, talvolta aumentando il tasso di reciproca autoreferenzialità. Più volte abbiamo scritto dell’enorme difficoltà a programmare risposte idonee e adeguate in assenza di un quadro politico stabile e chiaro.

Vale la pena di tornarci su, anche alla luce delle prossime scadenze parlamentari.

La maggioranza è alle prese con la costruzione continua di equilibri che si fatica a preservare, causa la conflittualità presente tra i partiti che hanno responsabilità di governo, ma anche al loro interno. Molte energie vengono impiegate per realizzare disegni di destabilizzazione del potere altrui e per rafforzare il proprio. Il rapporto tra Movimento Cinque Stelle, Pd, Italia Viva e Leu, del resto, è condizionato da un vizio d’origine: aver generato l’intesa politica per il Conte II non tanto sulla base della condivisione preventiva di soluzioni di problemi non più rinviabili e nemmeno per sintesi di culture politiche differenti e a tratti antitetiche, quanto sulla necessità di impedire a Salvini di conquistare la premiership e alla coalizione di destra-centro di governare. Non solo: alla base di quell’intesa c’era e c’è la convenienza ad avere voce in capitolo nell’elezione del prossimo Capo dello Stato.

Conte ha beneficiato di questa situazione tanto da passare con grande rapidità da una maggioranza giallo-verde a una giallo-rosso, ma ora ne subisce le conseguenze se è vero (com’è vero) che la partita sul Quirinale si intreccia con la sua permanenza a Palazzo Chigi e con la durata complessiva della legislatura. Governare per impedire ad altri di farlo non è la stessa cosa di governare avendo un’idea di Paese, capace di svilupparsi dal piano nazionale a quello territoriale per assecondare la domanda riformatrice proveniente dal tessuto sociale e provare a ridurre le disuguaglianze sociali.
Per la maggioranza luglio sarà un mese caldissimo. Il premier dovrà riferire alle Camere sulla posizione dell’Italia al Consiglio d’Europa del 17 e il 18: ci si pronuncerà sulle risoluzioni ed è nota la divergenza tra Pd e Cinque Stelle sul tema Mes, il cui voto tuttavia verrà rinviato a fine settembre per evitare contraccolpi al governo. Negli stessi giorni si voterà a Palazzo Madama la fiducia sul decreto Rilancio: la maggioranza ha un margine di soli sei voti in più rispetto all’opposizione.

Sempre il Senato dovrà affrontare un altro nodo, quello del Dl Semplificazioni, ammesso che in commissione si riesca a ottenere un rapido via libera. E poi c’è la votazione sullo scostamento di bilancio: in questo caso serve la maggioranza assoluta di 161 componenti. A tutto questo si aggiungano le divergenze tra il partito di Zingaretti e quello di Renzi sulla legge elettorale. Tra Pd e M5S si era raggiunta un’intesa su un impianto proporzionale con sbarramento al 5%. La fretta di approvare almeno in prima lettura questa riforma nasce dalla scadenza del referendum del 20 settembre sul taglio dei parlamentari. Il testo, su input del Pd, è stato calendarizzato alla Camera il 27 luglio ed è attualmente all’esame della commissione. Se si comprendono le ragioni politiche di questa scelta, più difficile diventa riconoscere la reale spendibilità in questo frangente storico di un dibattito nel Paese sulle modalità con le quali eleggere i senatori e i deputati del prossimo Parlamento, atteso che su questa materia le posizioni divergono in modo significativo sia tra opposizione e maggioranza, sia dentro gli schieramenti. Ci si chiede: gli italiani hanno bisogno di sentire parlare i leader politici di «bresciatellum» o di come far fronte alla drastica riduzione del reddito a causa della pandemia? La risposta è scontata.

Problemi esistono anche all’interno dell’opposizione, anzi delle opposizioni, sebbene le divergenze appaiano più circoscritte di quelle registrate nella maggioranza. Il raggruppamento destra-centro è abituato alla logica da coalizione, avendo già governato a livello nazionale e governando in molte regioni italiane, alcune delle quali di grande rilevanza. La manifestazione di sabato scorso a Piazza del Popolo a Roma sembra aver suggellato una nuova intesa tra Salvini, Meloni e Berlusconi, anche se sullo sfondo resta il sospetto che Forza Italia voglia giocare una partita tutta sua per comprare tempo e riconquistare spazi di manovra. Berlusconi è a favore del Mes (come il Pd) e al maggioritario preferirebbe il proporzionale per provare a essere ago della bilancia. Un governo diverso al posto del voto, nel caso in cui il governo Conte non abbia più i numeri? Vale la pena di pensarci, ha detto il Cavaliere ad Alessandro Sallusti. E non è un mistero la volontà della leader di Fratelli d’Italia di scalare posizioni rispetto al primo partito italiano, la Lega, che ha utilizzato lo scorso week end per chiedere agli italiani nei gazebo di firmare tre richieste di stop: alle cartelle esattoriali, ai clandestini, ai vitalizi.

Da una parte c’è dunque lo schema della resistenza, frutto di veti incrociati e di guerre di posizione. Dall’altra c’è la voglia di dare una spallata al governo, confidando nel potere salvifico delle urne. Emergenza economica e sociale permettendo. Dopo le Regionali, le finestre per tornare a votare sono solo due: autunno 2020 e primavera 2021. Tra un anno, infatti, si entra nel semestre bianco: periodo nel quale il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere.

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