Il commento
La politica cambi parametri e paradigmi
In questa Fase 2, nei nuovi equilibri tra cittadini e sistema politico peserà solo la capacità di risolvere i problemi quotidiani
Diciamoci la verità. La principale differenza esistente tra la Fase 1 e la Fase 2 è rappresentata dal fatto che d’ora in poi la politica non può più permettersi il lusso di sbagliare una mossa. Vale per la maggioranza (assai litigiosa), ma anche per l’opposizione (che procede in ordine sparso). Esaurito il momento dello smarrimento collettivo e della paura da contagio che ha indotto tanti italiani ad obbedire in modo responsabile ed incondizionato ai provvedimenti del governo, nei nuovi equilibri tra cittadini e sistema politico peserà solo la capacità di risolvere i problemi quotidiani.
Il criterio di valutazione sarà legato alla capacità di assicurare un approccio pragmatico, che rifugga cioè dal condizionamento delle posizioni ideologiche e dai tatticismi. Agli imprenditori che hanno visto ridursi fino all’inverosimile il proprio fatturato e che ora devono decidere se resistere o mollare vivendo nel frattempo il paradosso delle enormi difficoltà nell’accesso al credito, ai commercianti ed artigiani che vogliono riaprire subito le proprie attività per non chiuderle per sempre, ai lavoratori autonomi che fanno fatica a ricevere persino il bonus per la sopravvivenza da 600 euro nel mentre sono sottoposti ad una pressione fiscale tra le più alte d’Europa.
Alle famiglie che chiedono agevolazioni ed aiuti per continuare a svolgere quel ruolo fondamentale di ammortizzatore sociale e di stabilizzatore del conflitto intergenerazionale, a tutti loro (e non solo a loro) la politica deve risposte serie, tempestive, coordinate.
Basta con gli annunci. Basta con la retorica, che può essere usata come arma di distrazione di massa, anche se di dubbia efficacia visto che il regime immaginale costruito dai partiti sul senso di onnipotenza della politica sta cedendo. Visto che si sta sgretolando di fronte al dolore, alla rabbia di uomini e donne impegnati a rivedere le gerarchie di valori su cui hanno modellato finora la propria esistenza ed a ricollocare i propri bisogni e desideri nella nuova dimensione soggettiva e relazionale. C’è una domanda di policy (scelta e decisione) che non può essere inevasa e che non ammette disallineamenti rispetto all’offerta di polity (ordinamento e sistema di potere) e di politics (rapporti di forza tra partiti).
Un’offerta incentrata più su ipotesi ed intenzioni che su una programmazione a medio e lungo termine e sulla misurazione degli effetti delle varie decisioni. Facciamo un esempio. Il problema non è tanto come riuscire a far passare in Parlamento il Mes senza apparenti condizionalità e come superare l’empasse della maggioranza puntando mediaticamente soprattutto sul Recovery Fund. Il problema è come disporre immediatamente di quelle risorse sufficienti a far fronte all’emergenza economica e sociale. Vivere dignitosamente, non pregiudicarsi il futuro, contrastare le disuguaglianze, rallentare la prospettiva dello scivolamento del ceto medio-alto in direzione di quello medio-basso e di quest’ultimo in direzione delle nuove povertà: sono queste le uniche cose che contano. Nel tratteggiare le linee evolutive della postmodernità, gran parte della sociologia ha segnalato il peso che avrebbe avuto la cultura della “performatività”, incentrata sull’assunto che qualcosa è buono solo se funziona davvero.
La performatività della politica si deve ammantare, giocoforza, di realismo non per il mantenimento e l’incremento del consenso elettorale. ma per collocare la policy all’interno di un quadro certo, riconosciuto e riconoscibile, in grado di perseguire l’interesse generale più che quello di una o più parti. Occorre muoversi sapendo che non ci saranno risorse per tutti e che piuttosto bisognerà scegliere da che parte andare. Andare in direzione dello Stato o in quella del mercato, oppure agire in direzione di entrambe, come dimostra l’opzione del capitalismo politico? È necessario ricorrere a nuovi parametri di valutazione e nuovi paradigmi per rispondere a queste domande. O, quantomeno, è indispensabile usare in modo diverso quelli già esistenti. A far la differenza non sarà più il numero di like e di interazioni rispetto ai contenuti pubblicati sulle piattaforme social o sui media mainstream (interviste a quotidiani, radio e tv), quanto la misurazione delle conseguenze delle decisioni assunte. Sarà quello l’unico e vero feedback. La politica come policy si sviluppa lungo una traiettoria ben precisa: i) maturazione della consapevolezza dei problemi da affrontare; ii) scelta delle soluzioni più idonee tra le opzioni a disposizione; iii) comunicazione delle decisioni prese sia all’interno del sistema, sia al suo esterno; iv) attuazione delle misure deliberate; v) misurazione degli effetti che derivano nel passaggio dalla fase programmatica a quella operativa. Ad analizzare quanto sta avvenendo nel nostro Paese, viene naturale affermare che tutti e cinque gli step tendono a concentrarsi in quella che, a torto, viene ritenuta come la fase più importante: la comunicazione. Fase che non si limita alla rappresentazione della deliberazione vera e propria, espandendosi all’annuncio delle intenzioni. Un’ipotesi feconda quest’ultima, almeno per chi opta in favore di quei tatticismi utili a guadagnare tempo.
Pur essendo l’unico possibile in questo frangente della storia dell’umanità, specie se si vuol evitare di correre il rischio di una sostituzione definitiva della politica come policy da parte della politica come politic e polity, il ragionamento portato avanti in queste righe si fonda sulla disponibilità a fare i conti con la complessità, oltre con il pragmatismo. La postmodernità è il territorio più compatibile con il superamento dei processi lineari e con l’interconnessione tra sistemi e sottosistemi sociali. In Italia le emergenze sono quotidiane e non dipendono da una sola causa. Anche per questo serve un ruolo più attivo del Parlamento. Serve un nuovo equilibrio tra Stato e Regioni. Anche per questo è utile ricorrere alla logica dei pesi e contrappesi affidata, secondo la lungimirante intuizione di Tocqueville, ad organi di garanzia. Quegli organi, cioè, chiamati a scongiurare il pericolo di un’alterazione definitiva dell’ingranaggio delle democrazie liberali. Se nella Fase 1 è stato possibile contenere il contagio grazie all’atteggiamento responsabile della popolazione, nella Fase 2 i risultati arriveranno solo se la politica sarà capace di risolvere effettivamente i problemi delle singole categorie. Non conteranno più le narrazioni minimaliste o massimaliste sui rischi del virus, né quelle complottiste od assolutorie sulle cause della pandemia. Conterà solo il pragmatismo dell’agire politico. Che viene parecchio prima di quello comunicativo.