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Sanità allo stremo, subito più neo-medici da inviare in corsia

 
Elvira Monti

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Elvira Monti

medico, opsedale

Il nostro sistema sanitario nazionale è uno dei più caritatevoli del globo, sono in tanti i giovani «camici bianchi» che vogliamo farne parte

Giovedì 12 Marzo 2020, 21:07

Noi Italiani abbiamo dei pregi. Ben nascosti al mondo, ben nascosti a noi, ma ce li abbiamo. Quello che ci manca però è la memoria. Quella qualità meravigliosa che ci permette di non ricommettere errori già commessi. Questa volta però, manca la capacità di imprimere nella mente una situazione che è ancora sotto gli occhi di tutti e che, tragicamente, non si schioderà da lì ancora per un po’. Allora, per gli smemorati, ripercorriamo insieme le tappe del percorso di cui stiamo parlando. I protagonisti della nostra storia di dimenticanze sono 5700. Non è una fiaba, non ci sono principesse, non ci sono re, non ci sono principi. Ci sono 5700 laureati in medicina e chirurgia tra giugno, luglio e ottobre 2019. Il 24 febbraio scorso questi laureati si sono visti rinviare il test per l’abilitazione alla professione a data da destinarsi, causa CoVid-19. Il test era previsto per il 28 febbraio. Il 28 febbraio l’Italia registrava 888 soggetti positivi al coronavirus. Dopo qualche giorno, dopo aver insistito per ottenere l’abilitazione basata sul tirocinio formativo post laurea (erroneamente definita “abilitazione d’ufficio”) senza alcun risultato, dopo aver premuto per ottenere una modalità telematica di svolgimento del test tramite piattaforma SPID, un big accademico scrive che l’esame si svolgerà il 7 aprile. E decide di comunicarlo su Facebook, senza ufficialità, come se si trattasse di una chiacchiera da bar o di un “Buongiornissimo, caffè?”.Una scivolata di un certo livello, visto che a seguito dei numerosi insulti ricevuti il post viene rimosso. Ma Internet, e i medici, a differenza di altri, hanno memoria.

Questa data viene successivamente confermata da un decreto ministeriale, affiancata dalla possibilità di ricorrere a metodi di valutazione telematica in caso di peggioramento della situazione. Fin qui tutto bene. Ma visto che questa, come dicevo prima, non è una fiaba, l’imprevisto è dietro l’angolo. I casi di Coronavirus aumentano. Aumentano i morti, aumenta la paura. Viene diffusa (un po’ troppo in anticipo) una bozza di un decreto che prevede l’istituzione della zona rossa in Lombardia e regioni collegate. Inizia l’esodo degli stolti, che prendono treni ammassandosi gli uni contro gli altri nella stazione centrale di Milano. L’equivalente di un rave party, per il Coronavirus. Molti decidono di scappare con BlaBla car, altri con Flixbus, ma questo non li rende più furbi. Perché se l’intera classe medica ti implora di rimanere a casa e non diffondere il virus in tutto lo stivale, tu lo fai. Tu non torni a casa pensando di fare cosa buona e giusta quando in realtà stai solo esponendo i tuoi cari a un rischio. Prevedo molte lacrime di coccodrillo, ma le lacrime di coccodrillo non ti curano.

Ma torniamo ai giovani medici. I giovani medici sollecitano tutti a rimanere a casa, perché sanno che è giusto così. Tra di loro ci sono fuorisede, che scelgono di non tornare a casa, per difendere gli altri. Questo li rende più stupidi dei coetanei scappati a gambe levate e trolley sulla spalla dritti dritti da mammà? Assolutamente no, li rende solo più saggi, più responsabili, con più senso civico. Il 6 marzo sembra arrivare una gioia per questi giovani medici. Qualcuno ai piani alti si è ricordato di loro. Viene annunciata l’intenzione, da parte del governo, di aumentare il numero di borse di specializzazione di 5000 posti. In un momento in cui si parla tanto di carenza di specialisti e sistema sanitario nazionale al collasso, sembra una manna dal cielo. Piccola clausola: verranno ammessi al concorso anche i laureati di luglio 2020. Così facciamo un po’ di matematica: circa 8000 borse, a cui si sommano le 5000 di recente introduzione. 13000. A fronte di più di 20000 candidati stimati. I numeri non sono buoni. Ma sei anni di studio sudore e sangue ti fanno accontentare anche delle piccole cose, così i nuovi medici si sentono moderatamente soddisfatti. Una vittoria mutilata, ma pur sempre una vittoria.

Ma ancora una volta, questa non è una fiaba. Il 9 marzo viene pubblicato il DPCM. Come nei migliori trucchi di magia, delle 5000 borse annunciate non c’è traccia. Quindi ritorniamo sul libro di aritmetica: 8000 borse contro più di 20000 candidati previsti. I numeri, se prima non erano buoni, adesso sono tragici. Numeri che ci permettono di visualizzare chiaramente un allargarsi dell’imbuto formativo. Un imbuto che, parliamoci chiaramente, non dovrebbe proprio esistere. Voci di corridoio lasciano intendere che l’aumento delle borse di specializzazione verrà inserito nel DPCM di mercoledì 11 marzo, che probabilmente verrà pubblicato venerdì 13 marzo, salvo una seconda prematura fuga di notizie. Ma noi siamo come San Tommaso, se non vediamo non crediamo. Ci hanno fatto promesse troppe volte e troppe volte siamo stati disattesi, non ci caschiamo un’altra volta. Se queste borse non verranno aggiunte, avremo l’ennesima prova dell’incapacità di imprimere ricordi. Non si sarà stati in grado di fissare nella mente un concetto anche solo per il tempo necessario a metterlo nero su bianco. Eppure il nucleo della faccenda è semplice, non c’è bisogno di avere un QI di 170 per capirlo. È solo buonsenso.
Come abbiamo detto, questa non è una fiaba. Questo è, per la nazione intera, l’inizio di un film apocalittico, che può essere messo in pausa solo e soltanto se si rispetteranno le regole che sono state imposte dal decreto. Come società. Non è il momento di pensare soltanto a noi stessi, dobbiamo pensare tutti insieme come un’unica mente. Solo per qualche tempo. Non ci stanno chiedendo di andare in guerra.

E se per la nazione questo è un film apocalittico, per i neo medici è un thriller psicologico. Una prova di resistenza mentale. Vi parlo come uno di quei neo medici. Non abbiamo bisogno di un triathlon mentale per dimostrare di essere in grado di fare il nostro lavoro, e francamente non ce lo meritiamo. Il nostro sistema sanitario nazionale è uno dei più caritatevoli del globo, noi vogliamo solo farne parte.

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