L'analisi
L’agro-assedio delle mafie ai fondi comunitari
Le mafie, come aveva già intuito uno spirito lungovedente come il siciliano Luigi Sturzo (1871-1959), sono più leste di dieci leonesse nel fiutare i fiumi di denaro laddove scorrono in gran quantità
Lo aveva teorizzato Bernardo Provenzano (1933-2016) ai suoi picciotti. Anziché continuare a sporcarsi di sangue attraverso uccisioni e agguati vari. Anziché rischiare guerre intestine alle cosche in seguito all’occupazione del territorio riservato al traffico di stupefacenti. Anziché continuare a usare la lupara per difendere e allargare i confini geofisici del malaffare, tanto vale specializzarsi nelle truffe sui fondi europei. Pochi rischi, tanti guadagni. Lavoro pulito, anche se pratiche sporche. Vuoi mettere rispetto ai soliti riti cruenti di Totò Riina (1930-2017) e sodali simili?
Infatti. Le mafie, come aveva già intuito uno spirito lungovedente come il siciliano Luigi Sturzo (1871-1959), sono più leste di dieci leonesse nel fiutare i fiumi di denaro laddove scorrono in gran quantità.
E l’Europa, sotto questo aspetto, può rappresentare una mangiatoia unica al mondo, un caso irripetibile di alimentazione ininterrotta senza il pericolo di fare indigestione.
Ora. La Sicilia è la Sicilia. Terra i cui boss hanno affinato le tecniche predatorie degli aiuti comunitari, tecniche mai approdate - neppure per sbaglio - verso involontari benefìci per l’economia legale e produttiva. Ma, va detto, le trame tese a intercettare con inganni e corruttele i flussi del denaro europeo non sembrano solo un’esclusiva dell’Isola che pure ha dato i natali al top della letteratura italiana. Ieri le forze dell’ordine hanno incastrato i clan messinesi che hanno frodato l’Europa mettendosi in saccoccia fior di milioni destinati ai campi, ma analoghi atti predatori si stanno verificando in vaste aree del Mezzogiorno e dell’intera Italia.
La Puglia, poi, merita la qualifica di osservata speciale. Anche nel Tacco d’Italia la bramosia di denaro tende a tradursi in una malcelata voglia, da parte dei clan, di scroccare all’Europa quanti più quattrini è possibile. L’agricoltura è il terreno ideale per trasformare la frutta in oro, o meglio una pratica burocratica in platino puro.
Non a caso il tam tam delle campagne riferisce di acquisti di tenute agricole da parte di soggetti dalla dubbia moralità. Non a caso la crisi dell’agricoltura e il conseguente default di molte aziende agricole spiana la strada alla voluttà di gruppi senza scrupoli, pronti a impadrinirsi, anche o soprattutto nelle aste giudiziarie, di un appezzamento di terra dopo l’altro. Operazioni di conquista e di allargamento che non mirano tanto a trasformare il denaro illegale in denaro legale, quanto a creare le condizioni per agganciare i canali di finanziamento targati Ue. E siccome il territorio, cioè la terra, è l’unico bene non riproducibile, a padrini e consigliori non rimane che attendere sulla riva del fiume. Prima o poi passerà chi sarà disposto a sganciare molte banconote pur di accaparrarsi lotti di terra a più non posso. Oppure, le nuove proprietà, grazie a prestanome acconci, serviranno a carpire finanziamenti dall’Europa.
La Puglia è sotto assedio, al riguardo. Lo è, in particolare, la provincia di Foggia, la cui struttura mafiosa non teme rivali quanto a protervia e spietatezza. Lo è, il Foggiano, da lunga pezza, visto che proprio in Capitanata il boss della camorra Raffaele Cutolo battezzò i suoi primi sodali extracampani. Ma, a furia (nei decenni scorsi) di sottovalutare il pericolo infiltrazione malavitosa, oggi la Daunia costituisce una specie di terra di nessuno, dove i clan sparano, spadroneggiano, progettano attentati, seminano il panico e cercano di penetrare nelle istituzioni. La posta in palio principale, nel Foggiano e nelle altre realtà meridionali ad alta densità mafiosa, è proprio l’agricoltura. E i fondi europei di sostegno alle campagne rappresentano il più sfacciato oggetto del desiderio per la criminalità organizzata e i più spregiudicati e gruppi di potere.
Servirebbe un monitoraggio ossessivo, capillare, sui flussi di danaro in partenza da Bruxelles, così come servirebbe un’azione di controllo su quegli studi professionali che si prestano ad assistere aziende agricole di dubbia trasparenza. Ma non è facile, perché i professionisti delle truffe sanno mimetizzarsi come camaleonti e sanno nascondersi come volpi.
Ma il Sud, se vuole davvero risalire, non può che scommettere, puntare sulla legalità, sull’onestà. I clan riescono a impadronirsi delle risorse europee con una voracità felina, eppure non riescono a trasformarle in iniziative produttive nemmeno se si affidano al mago più accorsato.
L’Europa farebbe meglio a promuovere la defiscalizzazione del sistema produttivo anziché a correre il rischio di finanziare imprese di precaria reputazione. Ma, ogni qual volta, si affronta questo tema, si sollevano ostacoli più lunghi della Grande Muraglia cinese. E così tutto scorre, fino al prossimo scandalo e alla successiva ruberia-scorreria.