«Tutti noi che apprezziamo una maggiore uguaglianza economica faremmo bene a rammentare che, con rarissime eccezioni, essa è stata sempre generata solo nel dolore. Fate attenzione a ciò che vi augurate». È la conclusione-shock, non senza ironia, di un documentatissimo e brillante saggio dello studioso d’origine austriaca Walter Scheidel, che da vent’anni vive negli Stati Uniti e insegna Storia antica alla Stanford University, in California. Appena tradotto per i tipi del Mulino, il libro s’intitola La grande livellatrice. Violenza e disuguaglianza dalla preistoria a oggi e copre un arco che mette insieme il Pleistocene e l’Atene di Pericle, i Maya e la Somalia d’oggi, la Firenze del 1400 e la Silicon Valley... Scheidel sabato 23 novembre sarà il relatore della XXXV «Lettura del Mulino» nell’aula magna dell’università di Bologna, l’appuntamento affidato ogni anno a un accademico di prestigio.
Gli interessi di ricerca del cinquantatreenne Scheidel vanno dalla storia sociale ed economica del mondo antico alla demografia, allo studio interdisciplinare dei fattori che determinano il benessere umano. Insomma, è uno di quei ricercatori capaci di scandagliare il passato per scovare qualche indizio del futuro, come «il cacciatore accovacciato nel fango che scruta le tracce della preda» di cui scrisse un altro importante storico, Carlo Ginzburg.
Da tempo non leggevamo un saggio «duro» e affascinante come La grande livellatrice, che riserva un quid tragico nelle sue seicentotrenta pagine (euro 35,00) a partire dalle domande che suggellano l’introduzione: «Dobbiamo chiederci se un’enorme disuguaglianza sia mai stata attenuata senza una grande violenza; se fattori più benigni possano agire alla stessa maniera di questa grande forza livellatrice; se il futuro potrà essere molto diverso».
Le risposte «forse non ci piaceranno», anticipa l’autore, perché in fondo sono altrettanti «No». Non v’è riduzione o livellamento del divario economico, argomenta Scheidel con una messe di statistiche e comparazioni, senza una rottura violenta dello status quo. Sia chiaro, egli per «rotture violente» non intende... bazzecole come la Rivoluzione francese, nonostante la ghigliottina e il Terrore, bensì lo sconquasso suscitato dai Quattro cavalieri dell’Apocalisse: «Guerra con mobilitazione generale della popolazione, rivoluzione trasformativa, crollo dello stato e pandemie letali». Per esempio la Morte nera del 1347, cioè l’epidemia di peste che seminò decine di milioni di vittime in Europa, ebbe tra le sue conseguenze la scarsità della forza lavoro, il raddoppio dei salari agricoli e lo scemare delle rendite. Il tutto per oltre un secolo e mezzo, dopodiché le élites che detenevano risorse e potere riconquistarono il primato. E via così, a intervalli secolari, l’ultimo dei quali - in favore della ridistribuzione della ricchezza - si apre con le collettivizzazioni comuniste e «le straordinarie violenze» della Rivoluzione d’ottobre nella Russia del 1917.
Dalla Casa Bianca, nel 2013, Barack Obama indica nella disuguaglianza «la sfida che definisce la nostra epoca», ma Scheidel ricorda il «pedigree estremamente lungo» di tale processo. Nell’Impero romano, scrive, le maggiori fortune private corrispondevano a un milione e mezzo di volte il reddito annuo pro capite medio, più o meno lo stesso rapporto che intercorre oggi tra Bill Gates e il cittadino medio americano. E la democrazia, allora? «Di per sé non riduce la disuguaglianza», anzi. Mentre la globalizzazione, il ruolo egemonico della finanza, l’immigrazione, l’ingegneria genetica rischiano addirittura di approfondire il divario tra ricchi e poveri. Sembrerebbe una pietra sepolcrale sull’idea stessa di socialdemocrazia e sul Welfare novecentesco, ma la prima riforma o cura - suggerita fra le righe - è smettere di far finta che la ripartizione squilibrata delle risorse sia curabile, per così dire, con un’aspirina a stomaco pieno. Già, lo stomaco pieno... «Un certo grado di disuguaglianza, che la stabilità e l’economia di mercato comportano, è forse il prezzo da pagare per vivere pacificamente?».
È una sfida, questa sì, per la politica e in particolare per la sinistra che da sempre sventola la bandiera della giustizia sociale, ammainata in anni recenti. Pochi giorni fa, giusto a Bologna, è tornato a parlarne l’economista Fabrizio Barca, infiammando la platea della convention del Partito democratico chiamata «Tutta un’altra storia» con una relazione sul fortissimo aumento della disparità dei redditi. Sì, ma quale storia? Estendendo l’approccio di Thomas Piketty e di altri studiosi, Walter Scheidel giunge a conclusioni che si sarebbe tentati dal valutare sotto il segno del catastrofismo economico (solo i disastri cambiano il mondo), sebbene lui le consideri semplicemente realistiche. Infine, l’anticonformista Scheidel riporta alla mente una frase celebre di Karl Marx: «Essere radicale significa cogliere le cose alla radice».