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Il partito della gogna sui social

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

Il partito della gogna sui social

Il caso Cera: la giustizia farà il suo corso, ma i veleni giustizialisti e il sentimento accecante della vendetta corrono il rischio di avvelenare i pozzi della convivenza civile e dello spazio pubblico italiano

Sabato 19 Ottobre 2019, 15:35

Ogni inchiesta giudiziaria in Italia, da Tangentopoli a oggi, divide l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti, ma soprattutto risveglia gli istinti roventi di un irruente giustizialismo che scorre sotterraneo nella società. È il mito sempiterno di «Mani pulite», sublimato nelle versioni più attuali, fino al «Vaffa» grillino. Risuonano così, in versione social, le monetine velenose (alla fine ne furono raccolte per la somma di ben duecentomila lire).

Monetine lanciate a Roma dalla folla antipartitocratica contro il leader socialista Bettino Craxi. Risuonano sulla bacheca di Maria Giuliani, moglie di Napoleone Cera, consigliere regionale agli arresti domiciliari con il padre Angelo, per il coinvolgimento nell’inchiesta sul malaffare nel Foggiano. «Vi prego stateci vicini e non lasciateli soli»: Maria coraggiosamente difende il marito e la sua famiglia, riaffermando la centralità del matriarcato nella società meridionale. E la sua difesa non omette nessun particolare: «Al di là della scena, che non consiglio a nessuna moglie o figlio di vedere, (Napoleone, ndr) è stato portato via in macchina dai finanzieri come uno dei più tremendi criminali sulla faccia della terra. Volevo solo rassicuravi che stanno bene, sereni, e che sono certi di poter ricostruire tutte le accuse che vengono mosse nei loro confronti. Parliamo di tentata concussione. Sarebbero i primi politici italiani ad essere stati arrestati non per essersi intascati soldi ma per cose che tra l’altro non sono avvenute. Per talune come già ha spiegato il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, rimangono nelle prerogative della politica». La conclusione: «Non abbiamo paura! Ma vogliamo sentire la vostra presenza per darci più forza, come abbiamo sempre fatto».

Il controcanto di questo post pubblicato su Facebook è nella condanna preventiva di una parte del popolo della Rete: l’inchiesta sui Cera - che deve ancora instradarsi in un processo - merita per molti già una condanna definitiva, con accuse che vanno dal politico al personale. Gli effetti sono quelli di un tentato linciaggio mediatico vero e proprio, attenuato dalla solidarietà degli amici dei due politici postdemocristiani.

L’Italia resta prigioniera del mito incapacitante di Tangentopoli: l’opinione pubblica non è stata in grado di costruire gli anticorpi per arginare il malcostume della politica (ma spesso a «chiedere aiutini» sono proprio illustri Soloni della società civile) mentre ha dimenticato come condanne preventive, poi demolite nei vari gradi di giudizio, abbiano distrutto carriere professionali e politiche (basterebbe rileggere la storia del caso di Enzo Tortora).

Il rispetto del lavoro di inquirenti, investigatori e magistratura non cancella l’intangibilità della persona umana, seppure indagata, come emerge dall’accorata preghiera della moglie di Napoleone Cera. La giustizia farà il suo corso, ma i veleni giustizialisti e il sentimento accecante della vendetta - ben diversi dalla legittima aspirazione alla giustizia e alla lotta contro il malaffare - corrono il rischio di avvelenare i pozzi della convivenza civile e dello spazio pubblico italiano.

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