Cerchiamo di capire come la tecnologia funziona nella politica. Dieci <like> (mi piace) su Facebook sono già sufficienti a tracciare l’identikit di chi li mette. Settanta <like> bastano a chi ci spia a sapere di noi più dei nostri amici. Con 150, sanno prevedere i nostri comportamenti più di una moglie o di una fidanzata. Arrivati a 300 <like>, conoscono le nostre reazioni meglio di noi stessi. Se da questi <like> si accorgono, per dire, come la pensiamo sugli immigrati, ci bombarderanno di messaggi per rafforzare la nostra opinione o, eventualmente, farcela cambiare. E siccome su Internet (non necessariamente Facebook) circola ogni giorno l’80 per cento degli italiani, il gioco è fatto. Una consegna inconsapevole nelle loro mani. Perciò oggi i dati sono più preziosi dell’oro. L’oro magari ci arricchisce, i dati ci tolgono la libertà. E chi li detiene può dominare il mondo facendolo andare dove vuole. L’umanità ha prodotto 5 miliardi di gigabyte di informazioni fino al 2003 (il gigabyte equivale a 115 mila volte la Libreria del Congresso americano). Dopo il 2003 li produciamo ogni due giorni e il ritmo aumenta. E per produrli basta che usiamo una Carta fedeltà al supermercato o usiamo il telecomando per il cancello di casa. Ogni traccia elettronica ci fa seguire passo passo, a cominciare dai cellulari. Cinquanta milioni di profili sono stati raccolti da Cambridge Analytica su Facebook. Sono quelli poi usati per favorire l’elezione di Trump e l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Tramite Grandi Fratelli informatici russi, i più attrezzati per questo nuovo tipo di guerra senza sparare.
Così si diffondono anche campagne contro l’uso dei vaccini. O contro un’opera pubblica. Costruendo il falso con mille presunte prove, e convincendocene. La manipolazione del vero, contando sulle nostre paure o sulle nostre ansie (che conoscono come abbiamo visto). Una campagna elettorale permanente. E mica devono essere necessariamente bugie (quelle che si chiamano <fake news>).Basta una <verità illusoria>, o una <diversa verità>, tipo il teorema della bilancia. Ne abbiamo una in casa, una in ufficio, una in palestra. Se non ci danno esattamente lo stesso risultato, non è che ci stanno prendendo in giro. Hanno un differente grado di accuratezza, peccato veniale ma non fino al punto da considerarle una truffa. Verosimili, va’.
Il gioco è fatto, oggi che politica e comunicazione sono la stessa cosa. Laddove comunicazione è il nuovo modo con cui la politica si rivolge ai cittadini per raccontare quello che fa o ha intenzione di fare. Equivale alla pubblicità di un detersivo capace di lavare sempre meglio degli altri. E siccome attraverso i nostri dati sanno di noi ciò che serve (a gruppi, se non singolarmente), sfondano porte aperte. Col linguaggio cui ci hanno abituato telefonini e <social network>. Aggressività invece del ragionamento. Parole d’ordine rudimentali invece di frasi rotonde. Toni estremi invece di argomenti. Rivolgersi al pubblico come a bambini. Semplificazione su ogni cosa come se fosse tutto a portata di mano. Dal reddito di cittadinanza assicurato dai Cinque Stelle, ai 600 mila immigrati cacciati in due giorni di Salvini, all’abolizione del bollo auto garantito da Berlusconi. E al contrario di quello che dicevano gli altri, massimo che è riuscito alla sinistra.
Soprattutto rapporto diretto con elettori e cittadini, com’è della comunicazione al tempo di Internet. Il più bravo è il citato Salvini, che sta agli altri come Ronaldo sta a un Lapadula qualsiasi. Capolavoro del genere la lettera con la quale la procura di Palermo gli comunicava di essere indagato per la faccenda della nave «Diciotti» carica di migranti. Da lui aperta in diretta Facebook, mostrata agli italiani e poi affissa al muro. Salvini che, quando ha da rivolgersi al «popolo», non lo fa chiamando telecamere o telefonando ai giornali, ma parlandogli sempre con una diretta Facebook senza filtri o intervistatori. E che dice secco «io sono stato eletto, i magistrati no» (come quando Berlusconi parlava dritto dritto di «un milione di posti di lavoro» e gli altri di una «diversa politica del lavoro»).
Emozioni, amore e odio, bianco e nero, esagerazioni, teatralità, platealità. L’uomo più potente d’Italia è in questo momento un muratore calabrese disoccupato. Il quale, grazie ai milioni di «mi piace» ai suoi messaggi arrabbiati, è diventato un personaggio tre volte più seguito di Grillo. E grazie a questo diffonde opinioni politiche altrettanto seguite. Brutali, «perché la gente vuole quelle». Mentre Salvini è guidato da un sistema (dicasi algoritmo) che studia le reazioni a tutto ciò che dice su Internet. E in base ai risultati gli consiglia quando essere «cattivo», «cattivissimo» o «buono». Questo significano i dati coi quali si sa tutto di noi. A proposito, il sistema guida-Salvini si chiama «La Bestia».