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L'INCISIONE
Livio Costarella
18 Luglio 2020
Se c’è uno dei compositori vissuti a cavallo tra ‘800 e ‘900, amati dai pianisti, ma mai forse davvero considerati come avrebbero meritato, Aleksandr Skrjabin (1872-1915) è senza dubbio il più geniale e affascinante.
Erede della poesia chopiniana e della tecnica lisztiana in gioventù, poi sempre più mistico e simbolista. Fino a uno stile iconoclasta e futurista. Esemplari in questo percorso le sue dieci Sonate per pianoforte, composte in poco più di vent’anni dal 1892 al 1913. Ieri è stato appena pubblicato, per la prestigiosa etichetta genovese Dynamic, un cofanetto di due cd prodotti dalla RSI (Radiotelevisione svizzera) che raccoglie l’integrale delle Sonate di Skrjabin, eseguite dal pianista barese Nuccio Trotta (www.nucciotrotta.online), che vive e lavora in Svizzera, a Bellinzona, da più di vent’anni.
«Suonare Skrjabin - spiega il pianista - non è da tutti. Bisogna avere viti smollate ed essere liberi dove altri sono imprigionati. Perché la sua musica ha degli elementi fuori dalla comune immaginazione. Se il pianista non è dotato in questo senso, è come sentire messa celebrata da un ateo». Il pensiero di Trotta ben riassume l’attrazione straordinaria che ha sempre avuto verso questa musica. Che nelle dieci Sonate cambia continuamente colore, forma, architettura e ispirazione. La stessa che il pianista traduce nelle sue interpretazioni: mai banali e convenzionali, ma anzi, dedicate a una ricerca spasmodica sul timbro e sull’intonazione. Per non parlare del fraseggio, tra «rubati» e «più mossi», in un equilibrio in apparenza sempre instabile, ma che nel profondo giunge alla scoperta di una vera e propria pietra filosofale.
Trotta ha una formazione artistica di tutto rispetto: diplomato in soli sette anni al Conservatorio Piccinni di Bari e poi perfezionatosi con maestri come Aldo Ciccolini e, alla fine degli anni ‘80, al Mozarteum di Salisburgo con Sergej Dorenski, l’allora direttore del Conservatorio di Mosca. La sua multiforme esperienza musicale spazia dal solismo all’accompagnamento di spettacoli teatrali in lunghe tournée. Senza dimenticare la musica da camera. «Quella per Skrjabin è una attrazione nata in maniera inspiegabile quando iniziai a studiare la Sonata n. 6 - prosegue il pianista -, tra indicazioni non convenzionali e frasi deliranti che leggevo. Non conoscevo allora il suo pensiero, ma la sua musica mi intrigava e la sentivo nelle mie corde. Poi ne capii il senso: il compositore russo considerava il musicista un ponte tra il trascendente e il terreno, e le sue opere musicali erano veri e propri esseri viventi. Le dieci Sonate rappresentano un viaggio, tra i suoi drammi e le domande cruciali, nei rapporti tra il divino e l’umano».
Così, Trotta diventa una sorta di traghettatore per l’ascoltatore: dal pianismo ancora tonale delle prime Sonate (con una visione in certi momenti molto originale, nel fraseggio, dei capolavori che vanno dalla Seconda alla Quinta), all’allargamento degli orizzonti sonori che disegnano uno Skrjabin altrettanto rilucente e fremente, dalla Sesta alla Decima.
La musica rappresenta un viaggio al centro di me stesso - conclude Trotta -, un viaggio che terminerà solo con il mio ultimo giorno di vita. Essa ci spoglia delle nostre meschinità, facendoci apparire nudi e puri».
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