La notte tra l’11 ed il 12 novembre 1940, a Taranto sei corazzate italiane che erano in rada furono sorprese dagli inglesi con due attacchi degli aerosiluranti Swordfish decollati dalla portaerei Illustrious. I morti furono 58, i feriti oltre 581 e le corazzate Conte di Cavour, Caio Duilio e Littorio furono danneggiate gravemente. Il Cavour colò a picco e non fu più riparabile. Ora sappiamo che non soltanto i giapponesi, ma anche gli americani ebbero modo di studiare quell’attacco micidiale nel dettaglio. Solo che i primi impararono la lezione pugliese, mentre i secondi la sottovalutarono e, 11 mesi dopo, il 7 dicembre 1941, sperimentarono la Notte di Taranto alle Hawaii, a Pearl Harbor.
La scioccante ricostruzione è opera di Christopher P. O’Connor ed è agli atti della «Storia Navale» (Volume 30, numero 6) dell’U.S. Naval Institute ovvero dell’organizzazione statunitense che, dal 1873, si picca di essere il punto di riferimento per i temi del “potere marittimo”. Su www.usni.org si spiega che è «un’associazione senza scopo di lucro, priva di sostegno pubblico, che non esercita pressioni per interessi particolari. Non partitica. Un’associazione militare indipendente e professionale con una missione, obiettivi e finalità che trascendono le affiliazioni politiche».
Ebbene, grazie a questo lavoro appassionato, oggi abbiamo il dossier «A Taranto–Pearl Harbor Connection» in cui scopriamo che a bordo della portaerei britannica Illustrious c’era anche un americano, il capitano di corvetta Opie. «Sebbene il suo titolo fosse soltanto quello di addetto militare navale aggiunto a Londra, Opie era salito a bordo dell’Illustrious il 22 agosto, quando era partita dalla Gran Bretagna alla volta di Alessandria. Nei mesi precedenti - continua USNI - aveva navigato a bordo di diverse navi della Royal Navy in operazioni di combattimento. Era a bordo dell’incrociatore pesante HMS Kent quando fu silurato, e avrebbe trascorso del tempo a bordo della corazzata Warspite, del cacciatorpediniere Jervis e dell’incrociatore leggero Sydney». Opie «inviò numerosi rapporti all’Ufficio per l’intelligence navale (ONI), riportando le proprie osservazioni e trasmettendo quasi tutti i documenti della Royal Navy su cui riusciva a mettere le mani». In pratica, era una spia americana.
Non appena la portaerei britannica toccò terra, in Egitto «il 14 novembre», Opie «si recò rapidamente alla Legazione americana al Cairo e scrisse un rapporto di quattro pagine sull’attacco di Taranto. Aveva ottenuto una copia del rapporto dell’ufficiale comandante dell’Illustrious e aveva aggiunto le proprie osservazioni per “integrare il rapporto allegato”. Sotto il titolo “Lezioni”,
Opie scrisse:
- Il fuoco AA (aria-aria; ndr) non è efficace
- Gli aerei che attaccano le navi a bassa quota limitano il tiro di bordo per paura di colpire le navi amiche
- Alcuni ritengono che le navi dovrebbero prendere il mare nelle notti di luna, piuttosto che cercare di difendersi in porto.
- La RN (Royal Navy; ndr) ha rinunciato ai bombardamenti ad alto livello e preferisce gli attacchi con siluri ai bombardamenti in picchiata».
«I documenti di Opie furono inviati a Washington tramite la valigia diplomatica e sarebbero arrivati a gennaio. Ma i dirigenti della Marina americana non dovettero aspettare l’arrivo del rapporto del capitano di corvetta perché l'attacco di Taranto era già in prima pagina. Il New York Times pubblicò un titolo a sei colonne a pagina uno. Il Washington Post diede alla storia un'eco simile e la rivista Time pubblicò tre pagine di copertura. Il capo delle operazioni navali, ammiraglio Harold R. Stark, deve aver letto tutto ciò, perché il 22 novembre, appena dieci giorni dopo il raid, scrisse al suo comandante alle Hawaii, ammiraglio James O. Richardson, menzionando l’attacco di Taranto e chiedendo a Richardson di installare reti antisiluro per proteggere le navi ancorate a Pearl Harbor. Richardson rispose negativamente, citando lo spazio ristretto dell’ancoraggio e la distanza dei punti di ormeggio dall’ingresso del porto. Quest'ultima osservazione indica che Richardson potrebbe aver pensato a siluri lanciati da sottomarini piuttosto che a quelli aerei».
«Stark continuò a esprimere preoccupazione per gli attacchi tipo-Taranto e, intorno al primo dicembre, il nuovo ufficiale della Divisione Piani di Guerra della Marina, il comandante Walter C. Ansel, fu incaricato di preparare un rapporto completo sulla sicurezza di Pearl Harbor. Ansel collaborò con l’Esercito a questo progetto e il risultato fu una lettera firmata dal Segretario alla Marina Frank Knox e indirizzata al Segretario alla Guerra Henry L. Stimson».
Datata 24 gennaio 1941, «la lettera di Knox descriveva dettagliatamente lo stato miserevole delle forze di difesa hawaiane, forniva numerosi suggerimenti per il miglioramento e prometteva la piena collaborazione della Marina se l’Esercito si fosse impegnato ad attuare i suggerimenti della Marina. Stimson rispose il 7 febbraio che le forze hawaiane, pur essendo deboli, erano più forti di qualsiasi altra base statunitense».
«Il contrammiraglio Aubrey W. Fitch fece 55 copie del rapporto di Opie e il 3 marzo le inviò a quasi tutti gli ufficiali superiori dell’aviazione navale». Ma fu inutile.
I giapponesi, invece, inviarono «il capitano di corvetta Takeshi Naito, assistente dell’addetto navale a Berlino, a Taranto nel dicembre 1940 per vedere i danni e discutere dell’attacco con gli ufficiali navali italiani». E, tra il 18 maggio e l’8 giugno 1941, arrivò a Taranto una missione militare giapponese guidata dal contrammiraglio Koki Abe. Forse qui appresero la tecnica italiana di montare sui siluri una pinna di legno «per controllare l’assetto» durante la caduta in acque basse. I siluri usati a Pearl Harbor avevano la pinna di legno.