Sabato 06 Settembre 2025 | 19:24

Dal Salento a Frascati, la mostra di Giulia Barone e lo studio sugli ulivi giganti malati di Xylella

 
Claudio Mezzina

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Claudio Mezzina

L'artista è coinvolta in un notevole progetto per artisti under 36 ad opera di “Artisti in Transito”, dal titolo “Query – L’instabilità del materiale” (finanziato dalla Regione Lazio)

Sabato 23 Novembre 2024, 16:34

Giulia Barone è una giovane artista (classe 1994) che vive e lavora a Roma. Per parte di padre è originaria di Alezio, cittadina in provincia di Lecce. Di recente, è stata coinvolta in un notevole progetto per artisti under 36 ad opera di “Artisti in Transito”, dal titolo “Query – L’instabilità del materiale” (finanziato dalla Regione Lazio, con il patrocinio del Comune di Frascati e del Museo archeologico Scuderie Aldobrandini; partner di progetto “Hypermaremma”). Se il supporto artistico con cui Barone si esprime consuetudinariamente è quello fotografico, con catture di matrice analogica e stampe cianotipiche o ai sali d’argento, in questa occasione la fotografia si fa secondaria fase documentativa di un primario processo di costruzione manuale dell’opera. L’artista d’origine salentina, infatti, incline all’osservazione e allo studio delle anche più impercettibili trasformazioni della materia, ha dedicato parte della sua ricerca degli ultimi anni all’esaminazione del processo di metamorfosi che vede le larve di Bombix mori raccogliersi in bachi da seta, per poi riscoprirsi candide falene. Il suo ultimo lavoro site specific,“Di sale, di seta”, è osservabile al “MEC – mercato coperto cittadino di Frascati”, parte del suddetto più ampio progetto artistico con la direzione di Daniela Zannetti e la curatela di Irene de Sanctis. Ne parliamo al telefono: Barone, cosa vuole propalare la mostra diffusa di Frascati? Cosa s’intende per «instabilità del materiale»? La mostra si propone di raccontare, attraverso lo sguardo di noi artisti, l’inarrestabile, talora vorticoso e sconvolgente, talaltra lento e cadenzato, mutamento cui noi, la natura, le cose che ci circondano sono sottoposte.

“Di sale, di seta” è un’opera che consta di due momenti. Ce ne parla?

Negli ultimi anni, la fotografia per me ha acquisito un senso documentativo che prima non aveva. Da allora ciò che faccio, solitamente, è seguire il processo di mutamento, le fasi trasformative di piccole creature; il che è accorgersi del tempo, di ciò che genera. Un paio d’anni fa, abbandonandomi a questa ricerca sulla natura, ho acquistato e allevato bachi da seta. Dopo averli nutriti, osservati, fotografati, mi sono resa conto che la fotografia non sarebbe riuscita a restituire ciò che volevo dire; perciò, ho deciso di entrare fisicamente nel lavoro, di mettermi nei panni delle larve e di realizzare, cotone su di una struttura portante di legno e ferro filato, un baco della mia misura. E qui torna la fotografia perché, a lavoro compiuto, con cinque catture ai sali d’argento, ho raccolto l’allignarsi del mio baco, dunque esposto baco e fotografie in una mostra bipersonale con Livia Giuliani. A distanza di un anno, poi, lasciando sedimentare l’idea e agendo con la lentezza della larva che avviluppando la bava costruisce questa «stanza in affitto», ho realizzato una serie di bachi, aggiungendo ai materiali di partenza poliuretano espanso e scarti. È questa serie ad essersi appropriata dei punti nevralgici del secondo piano del “MEC” di Frascati ma, questa volta, ho deciso di non esporre fotografie.

Perché?
Perché, ancora una volta, la fotografia avrà l’ultima parola. Ho fotografato il modo in cui i miei bachi si sono impadroniti dello spazio e queste stampe saranno l’unica testimonianza, in futuro, di quest’esposizione. Di qui il titolo dell’opera: di sale, come i sali d’argento delle fotografie, di seta come la seta del baco.

Prima che su questo, la sua ricerca ha indugiato sul dramma della Xylella. Qual è il suo legame con la Puglia?

Il mio legame con la Puglia è visceralmente terreno. Il Salento per me è la terra rossa, è mio padre, la ritualità, la complessità della semplicità, i sapori. Io sono scissa perfettamente a metà: una parte a Roma, l’altra giù al Sud. A 11 anni dalla comparsa della Xylella, ho sentito la necessità di soffermarmi sul tema. Il lavoro in questo caso, però, non è stato e non è di tipo documentativo, ma si potrebbe definire un lavoro d’umana inchiesta.

Vuole spiegarci?

Ciclicamente faccio delle campagne di spedizione in Salento, in cui passo delle settimane a fotografare gli ulivi. Il mio intento è quello di concretizzare – è complesso esprimerlo in parole – una restituzione umanamente bella della morte. Dopo aver associato, qualche tempo fa, in una mostra, i risultati delle prime spedizioni alla tematica del «Fem» (femminilità ndr.) e a stoiche storie di donne, ho continuato ad informarmi, a studiare, a incontrare persone (fondamentale è stata la lettura de “La morte dei giganti” di Stefano Martella e l’incontro con Martella stesso), e ho compreso che la sopraccitata mostra non poteva che essere un punto di partenza. Il mio proposito è diventato, dunque, camminando per i campi, incontrando persone, domandando curiosa, quello di comprendere a fondo come chi ha convissuto con queste esistenze secolari abbia vissuto la loro improvvisa dipartita. Dopo aver parlato in particolare con Annunziato Pisanello, coltivatore di San Simone, ho deciso non solo di lavorare con l’usuale metodo di stampa, ma di stampare ai sali d’argento (con l’aiuto di Pierpaolo Massafra) anche sui corredi, sulle lenzuola che le persone ci regalavano in questi itinerari al limite del reportage (eseguiti assieme a Daniele Coricciati). Per chi li ha curati lungo tutta una vita, veder morire gli ulivi è stato assistere alla morte di un familiare. Quello che ho, che abbiamo cercato di fare, insomma, attraverso questo lavoro che è in fieri, su cui voglio continuare a lavorare, è stato tentare di restituire una dignità a questi monumenti, rendere maestosa anche la loro morte, attraverso questi scatti, con queste lenzuola che sono quasi un capezzale.

Il prossimo passo?
Fotografare i polloni, i nuovi innesti, la rinascita. Lo slancio di chi ama la terra verso il futuro.

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