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I libri, le foto e la memoria riemersi dalle stanze di mio padre

 
Costanza Quatriglio

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Costanza Quatriglio

«Sedotto dall'esoterismo di Castel del Monte, nel Meridione il cuore dell'Europa»

Domenica 02 Ottobre 2022, 12:34

La prima volta che mi è stata posta la domanda «come si fa a distaccarsi dai libri?», ho risposto d’istinto «conoscendo». Perché ogni libro è uno scrigno e se dentro i libri hai la fortuna di trovare lettere, manoscritti, dattiloscritti, articoli, negativi fotografici, stampe e ritagli, allora si è di fronte a un tesoro tutto da scoprire e conoscere.
Il viaggio vero e proprio è cominciato nel gennaio di quest’anno: quattro bibliotecari tre giorni a settimana a pre-catalogare i volumi della biblioteca. Iniziando dalle parti comuni: il corridoio della critica letteraria, lo stanzino dedicato alla seconda guerra mondiale, la libreria del salone stracolma di volumi d’arte e la cosiddetta stanza vicino all’ingresso ricoperta di una scaffalatura che ho riempito di libroni contenuti in più di quaranta scatole conservate in cantina. Infine, l’approdo più gustoso: il nuovo studio e il vecchio studio. Le prime persone a distinguere i due studi sono state le archiviste, per quel gusto tutto loro di indicare la collocazione originaria di ogni cosa, e a me questo piace perché è come se insieme al fascicolo – o al libro – ci si portasse appresso anche un po’ della casa dove sono cresciuta fino a ventitré anni.

In quello che mi era sempre apparso un caos indistinto è stato però facile ravvisare l’esattezza con cui ogni documento era stato da mio padre datato e nominato, tanto che da questa esattezza è nato un dialogo fulgido che ha permesso di metterci agevolmente sulle tracce di una meticolosità durata più di ottant’anni. I fascicoli, così come il materiale documentale conservato all’interno dei libri, attraversano i decenni con una costanza e una naturalezza tale da farci pensare che non sia possibile fare altrimenti. L’intero fondo costituisce un osservatorio unico sulla storia culturale, letteraria e artistica della Sicilia.
Non solo per gli scambi con intellettuali come Leonardo Sciascia, Renato Guttuso, Carlo Levi, Ignazio Buttitta e tanti altri, ma anche per i rapporti con gli storici, primi fra tutti Fernand Braudel e Denis Mack Smith. Una vita spesa a connettere la Sicilia al resto del mondo. Anche l’attività fotografica di mio padre va intesa in questa chiave. Appassionato dei grandi viaggiatori della storia, lui stesso era viaggiatore curioso. Non fotografava da fotografo, piuttosto usava la macchina fotografica come un taccuino per creare immagini che sposassero la parola scritta. Già nelle fotografie scattate da inviato nell’Europa post-bellica del 1947, colpisce il gusto per l’incontro, il piacere di cogliere gli esseri umani nel contesto, sempre dentro le architetture delle città e della Storia.

La Sicilia, tuttavia, è sempre il luogo cui tornare. La Sicilia come destino, avendo sempre in mente le culture, le lingue, le religioni, i regni, gli imperi. Con un amico di lunga data appeso sulla porta del vecchio studio. Sotto lo sguardo di Ruggero II, primo re del Regno di Sicilia, duca di Puglia, si è svolta ogni cosa. Il mosaico, un quadrato di 36x36 centimetri eseguito dall’artista siciliano Luigi Prestipino, ha un gemello consegnato da mio padre nelle mani del senatore democratico Sam Rayburn a Washington nel 1956.
Corrispondente dagli Stati Uniti per il «Giornale di Sicilia» e altre testate italiane e straniere, gli fu chiesto dall’allora Presidente della Regione Siciliana Giuseppe Alessi di consegnare al Congresso copia di un particolare del grande mosaico esistente nella Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo che rappresenta l’incoronazione di Ruggero II. Un dono «dal più antico parlamento europeo al più antico parlamento americano». La cerimonia venne ripresa dalla Movietone News e diffusa attraverso oltre 70 stazioni televisive in America e in Europa.
L’intera biblioteca con il suo immenso archivio si pone oggi come una finestra spalancata sulla storia dell’Europa dalla quale traspare la convinzione che non è possibile conoscere la storia del vecchio continente se non si conosce a fondo la storia della Sicilia e del Meridione d’Italia.

L’archivio tesse il tempo. Così può accadere di trovare all’interno di una unità archivistica i negativi fotografici che ritraggono Castel del Monte immerso nella nebbia insieme al manoscritto del resoconto di un dialogo immaginario tra mio padre e l’imperatore Federico II avvenuto proprio il giorno di quegli scatti nel dicembre del 1987. Il racconto, pubblicato nel 1995 all’interno di una raccolta che si intitola L’uomo orologio e altre storie, termina così: «Mentre ero assorto ad ascoltare, la voce si affievolì e poi si spense, non la sentii più. Il Sole - attorno al tempio del Sole - aveva intanto vinto diradando la nebbia. Un chiarore inatteso entrò da una bifora con violenza. Scesi i quarantatré gradini e uscii dal castello quando l’autobus era già pronto per ripartire con pochissimi passeggeri. Della strada non mi accorsi nemmeno ossessionato com’ero dall’ottagono, dal ripetersi del numero otto, da quell’inquietante presenza, forse soltanto immaginata, tuttavia viva ancora dentro di me. Perché questo accadeva proprio a dicembre, nel mese della nascita e della morte di Federico? Perché proprio nel dicembre del 1987, a 737 anni da un avvenimento memorabile che lasciò increduli i contemporanei? Ebbi una illuminazione improvvisa. Addizionai le singole cifre di 737 senza rendermi conto del perché: 7 + 3 + 7 fa 17 cioè 1 + 7, cioè 8. Ebbi così un inquietante risultato, il magico, onnipresente numero che domina gli eventi di Castel del Monte. Come in un gioco di cabala sommai anche le cifre corrispondenti al 1250, l’anno della morte dell’imperatore svevo (1 + 2 + 5 + 0 ), mentre l’autobus scivolava silenzioso nella piccola piazza di Corato. Sulla punta delle dita contai il numero otto ancora una volta, come in un incubo. Una voce interiore mi ammonì: “la natura degli dei è definita dai numeri”. Un turbamento mi prese e avvertii un brivido nonostante il Sole fosse ritornato miracolosamente caldo nel Tavoliere pugliese, nella terra del puer Apuliae».

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