La panchina
Lisbona a «cavallo» nel mare dei sussulti
In quelle creature nell’acquario vede dei minuscoli moniti a star bene facendo di sé un’opera sempre incompiuta
Nella mente del signor Acciuga pullulano le ipotesi: curve, ad angolo retto, scalene, furibonde, quiete, sussurranti, fragilissime e forti.
Quando era ancora del tutto immerso nell’acqua, nella sua mente gocciolavano le immagini; venivano giù verso il naso e si appendevano alla narice destra prima di mescolarsi ai movimenti remoti delle maree.
Poi, quando fu pescato nel mare Egeo da un monaco ortodosso, la sua mente, al contatto con l’aria, prese a pensare pensieri duplici, pensieri anfibi, pensieri a fisarmonica.
Adesso che si è sistemato temporaneamente su una panchina aerea nell’acquario di Lisbona, è come se si aspettasse che la sua mente venisse allo scoperto e si mescolasse alle immagini, fendendo la cortina d’ipotesi e assidendosi nel su e nel giù contemporaneamente, come se un’altalena fosse pronta a dondolarsi al ritmo dispari delle idee.
Nella vasca che ha di fronte fanno festa ai suoi occhi i cavallucci marini.
È venuto sin qui per imparare da loro; per capire come fanno a sembrare piante semimoventi e aeree essendo sempre se stessi.
Essere se stessi non significa avere una sola forma; non significa accontentarsi di quel che si è nel momento in cui si è.
Essere se stessi è qualcosa di simile al mare; è un movimento ad onda che si propaga nella mente e nel corpo e può tornare indietro o sospendersi nell’attimo o confondersi col niente stando sul bilico dell’inesistente.
I cavallucci marini si aprono come fossero pagine sfogliate da dita lievi; ascendono nell’acqua con una tale grazia che gli occhi ne godono solo provandosi a seguirne le evoluzioni impreviste e danzanti.
Nella mente del signor Acciuga le ipotesi si asciugano, dimagriscono, si fanno sentieri da seguire fino a dove il silenzio regna sovrano e si accende di cromie quiete e vaste.
Quel che i suoi occhi vedono è qualcosa di simile a un filamento primordiale che si ravviva come ci fosse nell’acqua un segnale che si propaga invisibile e forgia il sentire come un sentimento mai avvilente ma diramato e soave.
La testa del cavalluccio marino è esile, starebbe tra due delle dita squamose di Acciuga; e gli occhi sono molecole di sguardo universale concentrate in millimetri senza palpebre; molecole beate del contatto con l’acqua; vivificate dal movimento che porta sempre verso un altrove che è un qui e verso un qui che si spalanca sia un avanti sia indietro.
Tutto il corpo curvo come le volute di una chiesa barocca dei cavallucci marini sa raggomitolarsi e distendersi; il signor Acciuga lo coglie come un cuore pulsante che non ha bisogno del sangue per vivere, perché si nutre di aria e di acqua; e di acqua e di aria è composto.
Foglia mutevole, ramo che albero in se stesso, miniatura flessibile, nei cavallucci marini il signor Acciuga vede dei fratelli in creazione; dei minuscoli moniti a star bene facendo di sé un’opera sempre incompiuta; una canzone alla quale manca ancora una strofa; una nuvola che concepisce se stessa dall’interno e dall’esterno, un nastro di moebius.
Il signor Acciuga è venuto sin qui sull’onda di un ricordo; nella sua vita immersa nell’acqua deve averne incontrato di cavallucci marini e deve averne seguito le evoluzioni stilistiche, la loro multiforme capacità di suggerire un altro modo di vivere, una diversa ipotesi sul respiro.
Riecco le ipotesi riaffacciarsi nella mente del signor Acciuga; ma adesso non sono fatte di pensiero, piuttosto hanno la forma dei cavallucci marini di Lisbona, sono la loro immagine che nuota nella sua mente e fa piccoli tuffi e si rianima per un solo sussurro che è anche un sussulto e si trasforma trasformandosi a sua volta in un continuo movimento autorigenerantesi.
Non sono più ipotesi argomentabili; sono diventate aria e acqua a contatto con l’amigdala; si sposano nel cervelletto; fanno della calotta cranica un fonte battesimale.
Il signor Acciuga piange di gioia; le sue lacrime scendono verso una cassettina trasparente; e giunte lì s’infilano una dietro l’altra nel loro tabernacolo; e stanno silenziose in una convivenza acquea che dà alla panchina la forma di un piccolo areostato in formazione, una trasparente capannina aerea.