La panchina
Seduto, tra i libri e la luce di Dublino
Il signor Acciuga e l’acqua: il suo corpo è una Venezia in cui scorrono canalette e lagune di pensieri
Gli amici di Dublino del signor Acciuga sono al lavoro per completare la panchina-bibliotechina che sarà il regalo per il suo compleanno.
È quasi tutto pronto e lo stesso signor Acciuga partecipa al fervore di chi dà forma seduto su una panchina di fronte; dà consigli sulla scelta dei libri; spinge verso colori sobri per l’ultima sistemazione dei braccioli; dice che i pedali posti ai lati per accogliere le sue pinne sembrano comodi e ben fatti.
Che Dublino sia una città che ami le panchine, basta solo uno sguardo veloce per poterlo affermare a cuor leggero.
Ce ne sono un po’ ovunque e spesso hanno scolpito sul legno il nome di chi ne è stato autore o quello al quale la panchina è dedicata.
Le panchine di Dublino sono come un poema sparso, con rime assonanze richiami e soprattutto capacità di accogliere i pensieri dei viandanti.
Quella che avrà scolpito il nome del signor Acciuga è lungo un fiume; è non lontano da Trinity College; ed è ombreggiata da due alberi di Tiglio.
Il signor Acciuga la guarda mentre i suoi amici aggiungono gli ultimi dettagli.
È fatta soprattutto di legno, ma negli angoli sono nascosti dei piccoli cassettini colorati dentro i quali albergano già matitine, piccoli giraviti, lenti d’ingrandimento, forbicine e qualche pettine.
Di che materiali siano fatti questi cassettini è difficile dire, perché la loro forma non solo è variabile, ma dà l’idea che possano essere rivoltati come calzini con il dentro che diventa fuori e viceversa.
Sotto la seduta ci sono le scansie per i libri. Saranno due o tre, ma bastevoli a contenere una biblioteca in sedicesimo.
Sinora non abbiamo mai detto che il signor Acciuga è un lettore rapsodico; con l’alfabeto ha rapporti acquatici; le righe sono come bracciate che le parole fanno da un lato all’altro della pagina; e una volta arrivate in fondo fanno giravolta e riaffrontano il percorso inverso, portando con sé la scia mutevole di una musica che è quel che conta, quel che si versa nell’immaginazione e fermenta e crea nuove associazioni e nuove righe che non sono scritte su nessun foglio e che eppure il signor Acciuga legge e assapora come un pasto nutriente.
I libri scelti per dare un fondamento alla panchina di Dublino sono perlopiù libri brevi, poche pagine, soprattutto versi, ma anche mappe da srotolare sul tavolino a scomparsa che riposa tra doga e doga, e piccole immagini da poter guardare come si guardano le lanterne magiche o i diorami.
Sono libri variabili, scomponibili, cosmogonie portatili, dizionari che cambiano lingua a ogni girata di pagina, collezioni di numeri antichi e moderni, erbari, petrai in miniatura.
Mentre gli amici lavorano e la panchina-bibliotechina è quasi pronta, il signor Acciuga osserva il viavai dei dublinesi; scorge in lontananza il ponte che ha visto nascere racconti e baruffe e ancora testimonia di quell’odioamore che sempre le terre impregnate di origini e di lingue antiche suscitano in chi s’industria con l’alfabeto immaginativo; torna con gli occhi al fiume che scorre; infine si rintana in se stesso per schiacchiare un sonnellino fulmineo.
Gli amici hanno collocato tra la seduta della panchina e le scansie un piccolo reliquiario che potrà contenere le lacrime e le gocce di Acciuga.
Lo hanno fatto a sua insaputa, sfruttando il suo sonnellino, perché sanno quante volte il suo corpo tenga a squagliarsi e quanto sia importante poter conservare la materia prima delle sue commozioni.
Ognuno di noi è fatto d’acqua, certo; ma il signor Acciuga con l’acqua ha un rapporto tutto suo, difficile da raccontare nei dettagli, ma semplice da osservare.
Anche adesso che dorme nel suo corpo scorrono canalette che se si avesse gli occhi buoni per vedere farebbero pensare a Venezia; il suo è davvero un corpo-Venezia fatto di isole connesse da ponti; una laguna dove pensieri e sentimenti si danno la mano e impastano utopie.
La panchina-bibliotechina adesso è finita; il signor Acciuga rimasto solo ci si può sistemare per la prima volta, mettendosi a suo agio, godendosi il profumo inimitabile dei fiori di Tiglio, guardando la luce di Dublino che si sospende nell’aria della sera.