Diario di classe
Grazie cari studenti per la vostra leggerezza
Italo Calvino nelle sue «Lezioni americane» definisce la leggerezza: «Non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, senza macigni sul cuore»
Solita strada di rientro, solito percorso, dieci chilometri avanti e indietro tra scuola e casa. Stessa strada e pensieri sempre nuovi che si affollano in questi venti minuti o poco meno di strada assolata, ventosa, con le nuvole assiepate all’orizzonte a volte e la pioggia battente altre. Trascorsi con il volume della musica a cancellare pensieri o in silenzio a lasciarsi trasportare da essi.
Dieci chilometri, è questa la distanza che mi separa dalla scuola. L’unica che abbia mai sentito mia.
Ieri sono arrivata in classe scura in volto e acciaccata, non solo per i malanni di stagione, ma per i pensieri bui iniziati questa mattina senza nessuna particolare ragione. Come accade a volte in quelle giornate nate capricciose e lente, ma lungo la strada di ritorno mi sono accorta che il mio umore era cambiato, canticchiavo da sola in auto e sorridevo, per via di questo cielo divenuto improvvisamente terso forse, o per le continue e improvvise coreografie di uccelli che sembrano prendere forma precedendomi sempre di un passo o verosimilmente per quel tempo «buono» trascorso in classe.
Nulla di straordinario è accaduto, proprio nulla, abbiamo svolto le nostre ore di lavoro come sempre: visto e commentato le immagini di opere di artisti, giocato a mettere in relazione dipinti realizzati in periodi storici diversi, riscontrato differenze e similitudini, parlato del linguaggio della pittura sempre capace di divenire specchio del tempo. Ed anche oggi, tutto è andato come al solito, tra sguardi vivaci e curiosi, ed altri (pochi) che attendevano silenziosamente e fingendo una qualche capacità di adulta pazienza che giungesse la fine dell’ora.
Ho poi trascorso metà mattinata con gli studenti del biennio, noi docenti li chiamiamo affettuosamente i piccoli, e sarà stato nel baccano di queste aule nutrite e rumorose che sarà mutato il mio umore. Sorridono, anzi ridono loro, arrivano entusiasti e felici e la loro vita sembra ancora semplice, evidentemente tutto cambia man mano che si diventa grandi. Quattordici anni e tutto da fare, entusiasmo da vendere e un mondo che appare ancora tutto a colori. Bisognerebbe conservare questo senso di leggerezza che appartiene così poco alla nostra età adulta.
Forse è questo, dopotutto, il vero segreto della scuola: quella capacità di spostare improvvisamente l’asse del nostro sguardo.
Non sono necessari grandi gesti, né epifanie. Basta una domanda imprevista, una lezione partecipata, una risata all’improvviso che allenta la tensione o i discorsi divenuti troppo seri, ed aria nuova entra a cambiare le facce, gli sguardi, gli umori.
Mi tornano spesso alla mente le parole di Italo Calvino, in Lezioni americane in cui definisce la leggerezza: «non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, senza macigni sul cuore». Forse è questo che mi insegnano ogni giorno i miei studenti, specie i più piccoli, con quella naturale inconsapevolezza che noi adulti abbiamo smarrito da tempo.
Domani tornerò sulla stessa strada, ripercorrerò - come sempre - gli stessi dieci chilometri con sottofondo di chissà quale cielo mutevole e di quale musica. Chissà, domani, quali saranno i pensieri che prenderanno forma in questi venti minuti o poco meno di strada assolata, ventosa, con le nuvole assiepate all’orizzonte a volte e la pioggia battente altre, ma cercherò di preservare nello sguardo e nel cuore un po’ di quella ostinata leggerezza alla quale voi ragazzi sapete ricondurmi sempre.