Diario di classe

Ai ragazzi servirebbero modelli di umanità

Mirella Carella

Mentre tutto attorno a noi parla di guerra e di violenza e l’unico linguaggio utilizzato sembra essere quello della sopraffazione e della minaccia, mentre persino la politica sembra aver fatto proprio il linguaggio da bullo e nonostante ci siano tutte le ragioni per immaginare una resa, lunga ed incondizionata, la scuola resta fucina di speranza

Mentre tutto attorno a noi parla di guerra e di violenza e l’unico linguaggio utilizzato sembra essere quello della sopraffazione e della minaccia, mentre persino la politica sembra aver fatto proprio il linguaggio da bullo e nonostante ci siano tutte le ragioni per immaginare una resa, lunga ed incondizionata, la scuola resta fucina di speranza.
E la speranza è data dalla gentilezza, dall’umanità e dall’empatia che i ragazzi, nonostante i nostri cattivi insegnamenti, sono stati capaci di preservare.
Oggi vi guardo con la stessa tenerezza di sempre, ma anche con un certo orgoglio, perché in un mondo adulto che ha perso la bussola, non deve essere facile diventare grandi.
E mentre la cronaca ci racconta una realtà cruenta, che sembra essere ispirata alla trama di un film di Stanley Kubrick, in cui la banalità del male e il senso di noia e di incompiutezza fanno il resto, in queste classi io ritrovo l’umanità.
Fa bene ricordarlo, proprio in questi giorni, che esiste un’altra faccia della stessa medaglia che per fortuna sembra avere nulla a che fare con la feroce brutalità di cui sono zeppe le pagine di cronaca e che vede giovanissimi divenire protagonisti di atti scellerati di cui pensavamo fossero capaci solo gli adulti. Accoltellati per un debito insoluto, per una felpa non pagata, per uno sguardo di troppo.
A scuola dovremmo insegnare loro la gentilezza e anche la tenerezza che può tradursi in piccoli e forse persino banali gesti quotidiani, la stessa che vedo in Matteo, 18 anni appena compiuti, sempre in movimento, incapace anche lui di stare seduto per troppo tempo in aula, irrequieto come tutti gli adolescenti e permaloso come tutti i sensibili ma capace di una dolcezza disarmante quando si rivolge al nostro amico fragile, a cui è stato in grado di insegnare parole, gesti e filastrocche in questi pochi mesi insieme, a dispetto dei nostri tanti tentativi, delle nostre competenze acquisite negli infiniti corsi di formazione e di questi cinque vissuti in classe, l’uno accanto all’altro. Poi è arrivato lui, è con l’ausilio solo del cuore e della dolcezza è stato capace di allentare quel silenzio opprimente che ha tenuto imprigionato in questi anni il nostro amico fragile.
Ed è la stessa tenerezza che ritrovo in Giovanna, altra classe e altra storia, 17 anni e maturità da vendere. Ha già imparato a fare a pugni con la vita ed anche a sapersi rialzare, fiera. Sguardo tagliente e lenta ironica per guardare il mondo.
Lei è capace di riconnettermi con gli anni della mia giovinezza, creativi e ribelli.
Mi ha lasciato un messaggio, scritto lieve, al termine di un’esercitazione svolta in classe, me ne sono accorta solo domenica sera rileggendo le pagine guardate troppo in fretta... Sono quelle piccole cose per cui vale sempre la pena di fare l’insegnante.
Tutto quello che qui non c’è, va ricostruito, pezzo per pezzo con la pazienza di Penelope.
A dispetto di quanto si immagini, sono sempre più convinta che i nostri figli non abbiano bisogno né di eroi, né di capitani, ma di modelli di umanità, in cui non trova spazio il linguaggio della forza.
«La debolezza è potenza, e la forza è niente. Quando l’uomo nasce è debole e duttile, quando muore è forte e rigido, così come l’albero: mentre cresce è tenero e flessibile, e quando è duro e secco, muore. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza dell’esistenza.» (dal film «Stalker», citazione dal Tao Te Ching)
Converrebbe ricordarlo.

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