Diario di classe
Ma parlare chiaro è una maestra di vita
Dalle polemiche sul discorso del ministro Giuli fino al ruolo dei docenti. Pensando a quel ragazzo vittima dei bulli
Mentre scrivo sento mio figlio, barricato come sempre nella sua stanza, ripetere ad alta voce filosofia, in previsione dell’interrogazione, parla di sant’Agostino e delle sue teorie, ma è una ripetizione distratta da risate e commenti tra compagni di classe in chiamata, come pare essere di moda da qualche anno, mentre tentano invano di interpretare il discorso di Giuli, Ministro della Cultura, filosofo per formazione, di cui non solo loro faticano a comprenderne il senso e visto che anche io ho avuto non poche difficoltà a decifrare l’altissimo significato, ho deciso di investire parte della paghetta appena giunta con la Carta Docente per acquistare manuali di filosofia, nell’intento di rispolverare le antiche reminiscenze andate perse.
Sarò più pronta al prossimo discorso.
Ma persino questa, appare stasera un’impresa titanica: alle ore 00.25 ancora 21 minuti di attesa per accedere al sito. Aspetto.
Ciò detto, a scuola io di certo volo più basso, parlo molto e credo abbastanza chiaro, che già così le difficoltà non mancano.
Nelle prime classi del liceo è il tempo di approcciare all’arte greca, i ragazzi mi hanno chiesto se dovranno imparare tutto il lessico disciplinare in greco, li ho rassicurati: utilizzeremo come sempre quel poco di italiano con cui abbiamo dimestichezza.
L’eristica la lasciamo a chi per mestiere può anche non lasciarsi capire, che a volte è meglio.
Eppure caro Ministro Giuli, anche noi modesti insegnanti, manovali della parola, operai della cultura per pochi spiccioli, abbiamo svolto il nostro percorso: tutti laureati da decenni e formati, anzi iper formati, ma evidentemente non abbastanza performanti visto il trattamento al quale siamo costretti.
È una serata schizofrenica, lo confesso, scrivo mentre sono tanti i pensieri che si affollano, e d’improvviso tutto appare inghiottito nel dimenticatoio mentre penso a Leonardo morto di dolore e solitudine a 15 anni.
La sua morte destabilizza, cancella ogni speranza e pervade di senso di colpa.
Un senso di colpa collettivo che grida forte a quella schiera di adulti incapaci di intercettare la fatica del vivere, alla quale apparteniamo più o meno tutti.
Quante volte mi sarà accaduto di non capire, di non aver inteso, nonostante l’interesse, nonostante l’amore?
Quando immaginiamo gli adolescenti e il loro tempo sembra sia possibile una unica declinazione: quella al futuro.
Il tempo dell’infinito.
Un tempo che non contempla la parola fine e che non comprende la morte.
Ma è sempre tutta una questione di parole: le parole non dette, quelle dette male, quelle pesanti, quelle insopportabili per giovani cuori acerbi.
E ciò che turba è che non sempre si potranno rimettere le cose a posto, non con Leonardo, con lui battaglia persa, terminata senza alcun appello.
Nessuna seconda possibilità.
Non è scontata averne nella vita.
Ho ascoltato le parole di qualche insegnante, ne sono rimasta quasi interdetta, noi adulti abbiamo già intrapreso il nostro percorso di assoluzione.
Ma è tutta una questione di parole.
Le parole non dette, quelle dette male, quelle pesanti, quelle insopportabili per i giovani cuori acerbi.
E quando anche il ricordo di Leonardo si sarà affievolito, per noi che non l’abbiamo conosciuto, e avremo trovato un modo per far pace con la nostra coscienza, per nulla immacolata, addossando alla loro incapacità di stare al mondo ogni responsabilità, tutto riprenderà come sempre.
Daccapo.