Diario di classe
La storia di Angelita, vittima di bullismo
Ha 16 anni, è una ragazzina intelligente e introversa. Non gioca ancora a fare la donna come le sue compagne di scuola, esce poco, ma è la prima della classe
La settimana è iniziata con la telefonata di una mia amica, vuole parlarmi di sua figlia Angelita. Ha 16 anni, è una ragazzina intelligente e introversa. Non gioca ancora a fare la donna come le sue compagne di scuola, esce poco, ma è la prima della classe. Qualche giorno fa, uno come tanti, al termine delle lezioni e varcato il cortile della scuola ancora zaino in spalla, è stata circondata da alcuni suoi compagni di classe, l’hanno schernita, strattonata, le hanno sputato addosso senza alcuna vergogna.
Angelita è rimasta in silenzio.
La immagino con i suoi grandi occhi neri spalancati e increduli.
Avrà ripetuto chissà quante volte nella sua mente: - Sono i miei compagni di classe!-
È tornata a casa con lo sguardo serio e perso nel vuoto per ore, poi il silenzio si è sciolto in lacrime. Anche la sua mamma oggi piange al telefono mentre racconta, sembra il pianto inconsolabile di una bambina.
Io ho fatto fatica a trovare le parole giuste. Cosa dire? Che i ragazzi sanno essere cattivi? Che sono cose che possono accadere? Che bisogna imparare a rialzarsi? O che la soluzione è andare altrove, nella speranza di maggiore fortuna, come se il rispetto e l’accoglienza possano essere relegati ad un colpo di fortuna.
Dopo aver ripreso fiato, la mia amica continua il racconto, è stata a scuola il giorno dopo: ha descritto l’episodio e fatto i nomi dei ragazzi coinvolti, ma candidamente a loro discolpa hanno risposto: - Era solo un gioco!-
E che dire di quanto accaduto negli stessi giorni, all’Istituto tecnico Romanazzi di Bari, quando un professore è stato sparato al petto da un suo alunno di 17 anni con una pistola ad aria compressa. Avrà fatto assai male quel colpo ricevuto. Avrà lasciato un senso di desolazione e impotenza. È lo stesso che abbiamo provato tutti noi.
Inutile aggiungere considerazioni a quanto successo, ognuno farà le sue.
Ciò che colpisce è la frase con cui gli studenti hanno provato a giustificarsi: - Era solo un gioco-.
Non nascondo una certa fatica oggi, a conservare il mio sguardo fiducioso e benevolo per questa generazione che vivo in classe ogni giorno e che amo e di cui provo a comprendere comportamenti e dinamiche, ma che sempre più spesso sembra aver perso la bussola.
Sarà forse che è autunno e che le foglie cadono ma oggi li guardo con gli occhi malinconici e pieni di disincanto.
Nel frattempo Angelita si rifiuta di andare a scuola - e come darle torto- dice che ha mal di pancia o che è stanca, che non ha dormito abbastanza, perchè la notte è popolata da incubi in cui rivive continuamente quanto le è stato impartito, una violenza.
Ma in fondo basterà ripetersi era solo un gioco!
In questi mesi grazie ai fondi del PNRR alle scuole sono arrivate nuove risorse economiche da cui partire, anzi ripartire per una scuola 4.0, innovativa, al passo con i tempi, con le esigenze delle nuove generazioni e con il mercato del lavoro. A breve saranno pronte nuove aule didattiche più tecnologiche e performanti e nuovi laboratori per la realtà aumentata.
Ne siamo tutti contenti, ma mi chiedo - ci chiediamo in tanti - se è questa la strada necessaria da intraprendere per migliorare la scuola.
In Svezia la scuola ha fatto marcia indietro sull’utilizzo delle nuove tecnologie, mettendo via via da parte tablet e ipad per un ritorno alla carta stampata, ma come è chiaro, dovremo anche noi completare il nostro giro di boa per capire da cosa bisognerà attingere per cambiare e migliorare.
Ciò che serve a scuola è un esempio, una direzione, più docenti appassionati e carismatici, più momenti di condivisione e un pò di sana lungimiranza, per capire verso cosa si sta andando. Ciò che serve ai ragazzi è, a mio avviso, la capacità di ricollegarsi alla realtà a quella vera e questo diverrà sempre più difficile da insegnare persino con i laboratori di realtà aumentata.