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Le donne della resistenza si liberano dagli stereotipi
La lotta dalla liberazione dal nazi fascismo è stata anche una lotta contro un’ideologia dittatoriale che le donne avvertivano più degli uomini, come differenza e gap di genere
Nella storia si attraversano cambiamenti epocali di visioni, culture e convinzioni. Tra questi è possibile scorgere come si è evoluto il pensiero delle donne, sino ad oggi, anche grazie alla loro attiva partecipazione alla vita sociale e politica. Parteciparono alla lotta di liberazione e ne scrissero con numerose opere tra le quali “L’Agnese va a morire” di Renata Viganò, premio Viareggio 1949, uno dei primi libri sulla Resistenza che ne descrive giorni e fatti accaduti.
Le donne della resistenza raccontano le loro vite sottomesse, quelle delle intellettuali che combatterono per ottenere il rispetto e il riconoscimento dei diritti delle donne. Grazie alle quali il 2 giugno 46 le donne votarono per la prima volta. Anche se quando si aprì la Costituente, le 21 elette non vennero ascoltate nella loro richiesta di aprire alle donne l’ingresso in magistratura, perché secondo i padri fondatori, inadeguate per incapacità di gestire le emozioni per ragioni fisiologiche. Nemmeno il diritto di famiglia venne modificato, costituendo la più grande delusione delle donne del periodo. E di questa disillusione sono protagoniste Alba de Céspedes e Natalia Ginzburg nel secondo dopoguerra. Alba de Céspedes è stata protagonista delle radio libere durante la resistenza, ha fondato e gestito la rivista il Mercurio negli anni del dopoguerra. Una scrittrice più in ombra rispetto alla Ginzburg e alla Viganò, perché il suo primo romanzo che parla di protagoniste donne libere ed emancipate si imbatté nella censura fascista. Davanti alla commissione della censura per 17 volte le fu chiesto: "Lei si vergogna di aver scritto questo libro?” Alba scappa in Abruzzo con altri intellettuali romani, dopo l’8 settembre, per salvare la sua libertà, in una Roma oppressa.
Dall’Abruzzo Alba arriva fino a Bari dove diventa la voce di Clorinda, in una radio aperta e gestita dal comando alleato in cui incita al sabotaggio del nazi fascismo, famose le sue parole: “Credete di non poter far nulla voi e invece io vi dico che potete essere più utili che un patriota o un soldato”. Nel 1944 Alba rientrata a Roma, dopo la liberazione della città, fonda e dirige la rivista letteraria il Mercurio. È il momento in cui il mondo della cultura prende parte alla resistenza e le donne sanno che si sta giocando anche il loro ruolo nella società.
Alba de Céspedes porta la politica oltre la politica, nella vita di ogni giorno, nella casa, al lavoro, con la visione nuova dei diritti delle donne e delle questioni di genere. Una politica che si fa strada nella vita delle donne in un collegio romano, ovvero in un romanzo rosa, Nessuno torna indietro, che ha un legame con le scrittrici di fine ‘800. Nel romanzo si cita il sogno e il desiderio di affermazione di alcune donne ospiti in un collegio romano che si scontrano con la cultura degli anni ‘30 maschilista e che fu censurato dal regime fascista perché ritenuto scandaloso per l’epoca. Ma grazie a Mondadori amico della de Céspedes, l’opera fu pubblicata e divenne famosa in Italia e in tutto il mondo. La lotta dalla liberazione dal nazi fascismo è stata anche una lotta contro un’ideologia dittatoriale che le donne avvertivano più degli uomini, come differenza e gap di genere.
Eppure, anche le scrittrici della resistenza dubitavano di sé stesse, cadendo nei bias cognitivi e negli stereotipi di genere. Una lettera inviata da Natalia Ginzburg alla direttrice de Céspedes, fa cogliere il loro confronto sulla condizione femminile. La Ginzburg -abituata a nascondere la propria identità di genere femminile nelle proprie opere poiché convinta di “mancare di oggettività e di peccare di sentimentalismo”, poi ricredutasi nel tempo- scrive alla de Céspedes che il problema delle donne è l’abitudine a cadere nel “pozzo”. Ovvero, in quel luogo di grande malinconia e di buio che la condizione di donna, con gli affanni e le fragilità che la cura degli affetti le comportano e da cui dovrebbero imparare a difendersi. A questa lettera la de Céspedes risponde che proprio grazie al “pozzo” - che potrebbe simboleggiare uno stato di profondo calo di autostima -, la donna riesce a rinascere e a ricomporre sé stessa, uscendone più forte o “armata”. Se da un lato la vulnerabilità femminile sembrerebbe un difetto da evitare, dall’altro si potrebbe delineare che tale espressività emotiva, causa del “pozzo”, possa rappresentare la diversità che può contribuire con doti differenti allo sviluppo dell’umanità.