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Morte e vita sono collegati

Emanuela Megli

Nessuno capita per caso sulla terra, ognuno è chiamato a dispiegare il suo potenziale, a realizzare il suo scopo, per gli altri, per l'intera umanità

L'uomo muore sempre prima di essere completamente nato (Erich Fromm). È sempre stata forte in me questa idea: nessuno capita per caso sulla terra, ognuno è chiamato a dispiegare il suo potenziale, a realizzare il suo scopo, per gli altri, per l'intera umanità. Come diceva Chiara Lubich – straordinaria donna cristiana e laica italiana di cui è in corso la causa di beatificazione e canonizzazione, giunta alla conclusione della prima fase -, ogni essere sulla terra è stato creato in dono. In questa dinamica anche la morte ha un senso: lasciar spazio alla vita. Come il chicco di grano, che dà vita alla pianta morendo e marcendo per essa. Il problema è la paura che abbiamo di essa e il valore negativo che nel tempo gli abbiamo attribuito.

In alcune civiltà e culture, come quelle orientali, per quanto sia forte il dolore della perdita, si considera la morte un passaggio sacro verso la destinazione finale tanto desiderata. E si festeggia la morte invitando amici, parenti ed estranei, perché il festoso rituale possa accompagnare l'anima nell'Al di là senza che la tristezza e il dolore dei vivi possano frenare o rallentare il passaggio. Anche nella cultura cristiana si crede nel paradiso e nella possibilità che la morte sia espressione della volontà di Dio, e quindi accettabile, ma alcune convinzioni legate alla cultura occidentale, che ad esempio negano il limite, la finitezza, il dolore, talvolta prendono il sopravvento su di essa.

Nella storia "L'anatra la Morte e il tulipano", nel libro Così è la Vita di Concita De Gregorio, la Morte e l'Anatra sono due amiche, un'amicizia che sembrerebbe disuguale perché alla fine del cammino insieme, uno va e l'altro resta. Invece nel loro caso, a ben vedere, le due amiche vanno via insieme. Non c'è più morte dopo la morte. La sua paura, il suo mistero, vengono via con te. I bambini lo sanno che per non aver più paura bisogna far amicizia con la paura. Come nelle fiabe spaventose, che si rileggono tante volte, per far diventare lo spavento conosciuto, familiare. In ogni fiaba c'è il cattivo, c'è il dolore, fare amicizia con questo vuol dire domarlo, piuttosto che combatterlo o eliminarlo. È come porre una forza di contrasto verso qualcosa: mi resiste e mi respinge. Se invece non mi oppongo ma lascio che mi stia vicino, sono io a guidare e posso andare dove voglio. Così all'inizio del racconto un'Anatra incontra una bambina con la testa a forma di teschio e un tulipano nero stretto in mano dietro la schiena. L'Anatra chiede alla bambina chi è, ed ella risponde: "la Morte". L'anatra, spaventata, chiede se sia venuta a prenderla per portarla via. E la Morte, rasserenandola, le risponde che le sarebbe rimasta accanto nel caso le fosse capitato qualcosa.

Diventano amiche, l'anatra la invita a nuotare allo stagno, dormono insieme, si stendono al sole, la Morte è gentile ed amichevole. Vivono insieme giornate intere, al sole, poi al freddo, al vento e alla neve. Un giorno l'Anatra giace immobile sul prato. La Morte le accarezza le piume, la porta al fiume stendendole il Tulipano sul corpo e spingendola lentamente verso l'acqua, e mentre la guarda la lascia andare. Quando la Morte vede l'anatra andare via, quasi si rattrista. Ma così è la vita. Non è facile considerare amica la morte, ma a ben pensarci è il modo migliore per prepararsi ad essa, senza farsi cogliere impreparati! Se non rinunciamo a vivere pienamente la vita, infatti, con le sue sfide, le sue gioie, le sue angosce, ci accorgiamo che ne veniamo modellati e che ciò che nasce è una consapevolezza sempre nuova su noi stessi e sugli altri, fino a scoprirci completamente diversi da come pensavamo di essere.

Dispiegando completamente la nostra vera natura, il nostro dover e poter essere: potenza, in atto. Sono quattro i compiti che possono aiutare nel processo di elaborazione del lutto: accettare la realtà della perdita, attraversare i sentimenti del lutto, adattarsi ad una vita senza il defunto, collocare il defunto in uno spazio nuovo e continuare a vivere. Così come la persona morente, anche chi gli vuole bene ha bisogno di concludere "questioni non risolte” (Elisabeth Kubler-Ross 2008): risolvere incomprensioni, chiarire malintesi, esprimere i sentimenti tenuti dentro da tanto tempo. Portare a termine le cose lasciate a metà aiuta a vivere serenamente dopo la morte delle persone care, evitando che questi possano trasformarsi in tormentoni che possono influenzare negativamente la vita successiva.

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