«Ciarderie»
Eduardo si nasce, attori non si diventa
Buongiorno! Finalmente. Sì, finalmente si può parlare di Teatro. Nelle precedenti volte mi è sfuggito di parlare di Teatro
Buongiorno! Finalmente. Sì, finalmente si può parlare di Teatro. Nelle precedenti volte mi è sfuggito di parlare di Teatro.
Forse perché non era la giornata giusta. Bene, oggi è santo Edoardo. Oddio, quello cui mi riferisco non è quello comune che tutti conoscono, bensì «Eduardo». E questo fa la differenza. Cambia solo la «o» con la «u». Ti pare poco? Questo vuol dire molto, in quanto Edoardo può essere Edoardo Tanzi, Edoardo Laraspata, Edoardo Lorusso, eccetera, eccetera.
Mentre, invece, se dico Eduardo non c’è bisogno di un cognome e quindi… Eduardo e basta!
Molti potrebbero dire: e chi è? Non ha importanza, ormai il ‘900 è passato, il teatro è quello che è oggi. Pazienza.
Oggi per fare teatro c’è la tecnologia, ci sono i sovvenzionamenti, gli assessori, le persone di passaggio, le amanti, uomini e donne, ma soprattutto chi non sa cos’è il teatro e non ha un posto di lavoro.
Eduardo diceva sempre: è meglio fare teatro che lavorare!
Era una battuta e basta, riferita appunto a chi non ha un lavoro.
Bene, oggi che facciamo andiamo sul serioso? No, non mi permetterei mai di criticare qualcuno, anche perché come dice l’assessore alla cultura di turno: tutti devono lavorare. Però il teatro non è un lavoro. Questo è un mio parere, naturalmente è un mio parere nella mia città che dunque non conta niente, specialmente se il teatro lo fai. Capita l’antifona?
De Filippo si nasce. Nonostante sia nato da genitore diverso, è stato lo stesso Eduardo. Adesso so benissimo che qualcuno si sta rompendo le scatole nel leggere questa mia critica. Però, tranquilli, fra un po’ ci saranno le votazioni e ci sarà da divertirsi per davvero. Abbiate fede, la comicità rimane, le risate ci saranno e tutti faranno il teatro.
A questo proposito, vorrei far notare la differenza che c’è fra il teatro che si fa in Italia e quello che viene fatto a Bari.
In Italia si va a vedere un lavoro teatrale sapendo pure che cosa si va a vedere e si telefona chiedendo: c’è ancora posto?
A Bari si telefona chiedendo: si ride? È uno spettacolo ridicolo?
Non c’è niente da fare e come avere delle metastasi nella educazione per come acquisita finora.
Scusate il paragone, però non riuscivo a farne a meno.
Poi sempre a Bari c’è il cosiddetto teatro che si fa solo con le carte, cioè con i sovvenzionamenti, questo è un teatro che può fare a meno del repertorio. Non è una critica, tantomeno gelosia.
Non dico che lo spettacolo debba essere per forza «bello e comprensibile», però almeno dignitoso.
Invece, si mettono sul palchetto tre sedie in croce, una porta dipinta con lo spray, la propria cugina per l’acconciatura e il trucco, senza sapere che non c’è nessun bisogno in quanto «il trucco» già c’è!
Poi, stanno quelli che dicono: teatro comico. Chi è il comico?
Il comico il tragico visto di spalle.
Mentre invece chi spaccia il cosiddetto teatro impegnato al comico gli dà sempre le spalle.
A questo punto per difesa personale, posso dire che il comico vero e non il pagliaccio ha sempre dato le spalle al finto impegnato, lasciandolo circondato soltanto da contributi, finanziamenti, trulli a Cisternino, appartamenti in città, con conti in banca, ma soprattutto rabbia.
Bene adesso basta con questa cosa. Ridiamo.
«Colino Coco tene la zita nel comò, la Zita la tiene a Barivecchia e Colino ha fatto Vecchio! Amblamblà cicì cocò, tre civette sul comò che facevano l’amore con la figlia del dottore, amblamblà cicì cocò!»
Ecco la comicità! Contenti? Madonna mia, quante risate! Cercherò di continuare a ridere fino a lunedì prossimo. Spero mi vengano altre battute spiritose. Intanto buona fortuna.