Da Trani a Valenzano, in viaggio con le tartarughe Caretta Caretta: salvate, studiate, mappate e poi liberate in mare
Grazie al Centro recupero tartarughe marine del Wwf di Molfetta abbiamo documentato come funziona il salvataggio di questi meravigliosi esemplari. Super lavoro anche per i veterinari dell’Università di Bari
Lunedì 31 Marzo 2025, 17:56
18:17
TRANI - «Bisogna tutelare il nostro mare sia a partire dalle creature che lo popolano, sia a livello costiero. Non è una discarica a cielo aperto. Dobbiamo cambiare completamente impostazione se vogliamo donare ai nostri figli un mondo migliore»: con queste parole Pasquale Salvemini coordinatore del Centro recupero tartarughe marine del Wwf di Molfetta, lancia l'ennesimo appello alla tutela di questo patrimonio incredibile che lambisce la Puglia per tutta la sua lunghezza.
In fin dei conti, come diceva Nabokov: "un’onda che si infrange non può spiegare tutto il mare". Per comprenderlo bisogna viverlo. E quale modo migliore se non attraverso la salvaguardia di chi lo abita? Per questo l'occhio di Gazzetta Tv oggi vi porta alla scoperta del mondo delle tartarughe caretta caretta.
Si tratta della tartaruga marina più comune del mar Mediterraneo. Fortemente minacciata in tutto il bacino del Mediterraneo, la specie è diffusa in molti mari del mondo: oltre che negli oceani Atlantico, Indiano e Pacifico, si può trovare nel mar Nero. Respira con il naso, con la bocca, e con un buco che si trova nella parte anteriore del corpo. Grazie al Centro recupero tartarughe marine del Wwf di Molfetta abbiamo documentato come funziona il salvataggio di questi meravigliosi esemplari.
La catena è semplice e ben rodata: i pescatori che recuperano le tartarughe in mare, rimaste impigliate nelle reti, le consegnano al Wwf che le porta al Sea Turtle Hospital dell'Università di Veterinaria Bari, nelle sapienti mani dall'equipe di ricercatori del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari, coordinato dal prof. Antonio Di Bello che le sottopone a un vero e proprio check up completo.
Se sono ferite o malate rimangono in struttura, se invece non hanno particolari problemi vengono immediatamente liberate in mare, non prima di essere "mappate" con una targhetta che contiene una sorta di microchip che permetterà loro di essere monitorate lungo tutta la loro vita in mare. Il tutto è coadiuvato anche dall'importante supporto della Guardia Costiera e della Capitaneria di Porto e dalla Lega Navale di Trani che fa da ponte tra gli attori in campo per questo tipo di attività di primo soccorso.
In Puglia, oltre alla struttura di Molfetta ci sono altri tre Centri (a Calimera, a Torre Guaceto e Manfredonia oltre al Centro recuperi di Policoro che che operativo su una parte della costa jonica) diventati ormai punti di riferimento sull’intera regione e soprattutto per l’intero Adriatico per la salvaguardia di questi rettili e anche di molti altri animali selvatici.
Non solo la plastica o ami ingeriti. Ad uccidere le tartarughe è soprattutto un fenomeno, il gas embolismo, che da alcuni anni viene studiato dall’equipe di Valenzano. «La plastica ingerita dalle tartarughe non è nel Mar Mediterraneo la causa principale della morte della tartarughe marine. Lo è invece in quei Paesi dell’America del Sud dove l’inquinamento da plastica è altamente invasivo. Il problema principale, semmai - spiega il prof. Di Bello - è costituito dai sistemi di pesca che impattano in modo importante sulle tartarughe marine. Nel Mediterraneo è praticata in maniera diffusa la pesca intensiva sia con le reti a strascico e sia con il palangrese: i braccioli di lenza ingeriti, da soli o insieme all’amo, occupano infatti lunghi tratti del canale intestinale provocando trazioni e lacerazioni della parete».
Pasquale Salvemini, vera e propria anima del Centro di recupero delle tartarughe, con la sua passione e la sua dedizione ha reso questo tipo di attività quotidiana di salvataggio, una best practice per la tutela delle tartarughe. Basti pensare che a partire dal 2025, in soli 3 mesi, sono state recuperate e rimessi in libertà 152 esemplari. Di cui due hanno subito degli interventi chirurgici, tra cui un’amputazione.
Vedere questi giganti del mare tornare a casa è un'emozione unica e irripetibile: si tratta di un vero e proprio fiore all'occhiello made in Puglia, un'attività senza scopo di lucro ma svolta su basa e volontaria per amore della ricerca scientifica che non solo permette il recupero delle tartarughe, ma che aiuta a conoscere questo animale antichissimo, a curarlo e soprattutto a trattarlo con rispetto, così come ogni creatura merita.