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Bari, parla l’attivista Flavia Carlini: «I diritti non sono favori»
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Domani pomeriggio sarà ospite dello Spazio Murat a Bari, in dialogo con Annalisa Monfreda, per l'evento organizzato da "Rame"
BARI - È una delle voci più autorevoli sui temi legati alla parità, ai diritti umani, agli sviluppi sociali e politici. E lo fa quotidianamente sui suoi canali social (quasi 400mila follower su Instagram e 300mila su TikTok): Flavia Carlini, classe 1996, divulgatrice e attivista politica, sarà ospite domani, martedì 3 dicembre alle 18,30, allo Spazio Murat di Bari, del format-evento «Rituali di benessere finanziario», organizzato dalla media company «Rame». L’attivista napoletana - in libreria dallo scorso gennaio con il bellissimo libro denuncia Noi vogliamo tutto. Cronache da una società indifferente (Ed. Feltrinelli, pp.176, euro 15,20), dialogherà con Annalisa Monfreda, co-founder di Rame e direttore di “Donna Moderna” sino al 2021. Il format, realizzato in collaborazione con Impact Hub e Alleanza Assicurazioni (ingresso libero, iscrizioni su rameplatform.com), intende aiutare le persone a infrangere il tabù del denaro e ad acquisire un rapporto più sano con esso.
«Ci sono due differenze a livello politico sul rapporto che una persona può avere con i soldi - spiega Flavia Carlini - e dipendono molto dall’età e dal genere. Per la mia generazione è dilagante il fenomeno del precariato: l’alternanza scuola-lavoro, gli stage gratuiti o pagati 300 euro al mese, la gavetta, i voucher, il lavoro povero. Tutto ciò ha riguardato anche me: i giovani oggi non sono messi nella condizione di accumulare nuova ricchezza, e le loro reali possibilità dipendono dalle ricchezze accumulate dalle loro famiglie. Questo vuol dire che l’ascensore sociale si è fermato. Poi viene il genere: le malattie di genere (nel mio caso l’endometriosi, di cui parlo nel libro) hanno avuto sulla mia vita un gigantesco impatto economico. Tutte questioni che dovrebbero essere sanate con un intervento statale, per perseguire un concetto reale di parità, generazionale e di genere».
Veniamo al titolo del libro: «Noi vogliamo tutto» è un urlo disperato o un auspicio?
«Per me rappresenta una pretesa collettiva: a me sembra assurdo chiedere per favore dei diritti che dovrebbero esserci garantiti. Siamo arrivati al punto in cui la parola compromesso ha sostituito la parola libertà. E il compromesso è un gioco al ribasso, a rimetterci sono sempre gli ultimi».
Crede che l’indifferenza sia il male peggiore odierno?
«Sì, è ciò che avvelena la democrazia. Ed è trasversale. Prendiamo i dati che parlano della partecipazione alla vita pubblica, che evidenziano un netto calo, specie della mia generazione. Qualcosa non mi quadrava, e osservando bene i dati, questa “indifferenza” veniva calcolata sui cortei e i comizi. È ridicolo: chi partecipa ai comizi nel 2024? Quindi il problema sta in come vengono calcolate queste variabili. Ci sono forme di partecipazione molto più utili dei comizi, come il boicottaggio di certi prodotti, ad esempio».
Cosa manca di più oggi, la rabbia o una partecipazione reale dal basso?
«Nessuna delle due. Manca il gancio, ossia la consapevolezza che una collettività possa trasformare le cose. Vedo semmai molta disillusione e rassegnazione, nel pensare che non si possano cambiare le cose. Con la politica abbiamo un canale di comunicazione fondamentale che è la piazza: solo quella può far capire a chi ci governa la direzione in cui andare. Perciò dobbiamo sempre più abitarla».