Domenica 07 Settembre 2025 | 03:47

«Punto», il cerchio artistico di MaLaVoglia si chiude per lasciare spazio a un nuovo percorso: «Nessuna etichetta, voglio essere libero»

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

Un messaggio anche per la società moderna che sbandiera l'inclusione ma vive nel paradosso: «Tutti ecosostenibili con l'ego insostenibile»

Lunedì 14 Aprile 2025, 16:13

Un punto che chiude il cerchio di un percorso artistico lungo quasi dieci anni. Proprio «Punto» si intitola l'album d'esordio del cantautore MaLaVoglia, pavese di origini pugliesi con un lungo percorso a Milano, uscito il 28 marzo e che con il singolo di lancio Johnny fa il miele offre una riflessione ironica e provocatoria sulla modernità, raccontando il desiderio di semplicità e il bisogno di autenticità in un mondo dominato da slogan e paradossi. MaLaVoglia, al secolo Gianluca Giagnorio, non è un volto nuovo della scena indipendente: dal 2017 ha pubblicato una lunga serie di singoli, ha vinto premi, calcato palchi importanti e aperto concerti di artisti del calibro di Raf, Vecchioni, Britti, Al Bano e molti altri. Il disco, che ospita due produzioni di Davide Gobello (che ha collaborato con Fabrizio Moro, Riccardo Cocciante e molti altri), raccoglie dieci brani che spaziano tra rock, folk, pop ed elettronica, ma che soprattutto raccontano in maniera autentica la storia, le emozioni e le visioni del cantautore. Un’opera matura e ricca di sfumature.

Punto è il primo album dopo anni di singoli, live ed esperienze importanti. Cosa ha rappresentato chiudere un cerchio con questo lavoro?

«Era necessario. Forse doveva arrivare prima, ma credo sempre che tutto arrivi quando è il momento, quindi va bene così. Si vede che prima non c’erano le condizioni ideali. Dopo 8 anni di MaLaVoglia sentivo il bisogno di chiudere una prima parte di me dentro un album, con canzoni che ne rappresentassero le mie sfumature, artistiche e personali. Ora mi sento più leggero, pronto a lavorare sul nuovo MaLaVoglia che ho voglia di far conoscere a tutti. Questo album rappresenta una fine e un inizio. È potente come significato per me e spero arrivi anche questo a chi lo sta ascoltando».

Il singolo “Johnny Fa il Miele” è una vera e propria fotografia ironica e provocatoria della società contemporanea. Com’è nato e cosa rappresenta Johnny?

«È nato per caso, parlando con un amico idraulico che era venuto in casa a farmi dei lavori. Parlando gli dissi che ormai la vita di metropoli mi aveva stancato e che ero ben felice di essere tornato in collina, in provincia. Lui mi disse che avevo fatto come il suo amico Johnny che, lasciata Milano, si era trasferito a fare il miele in collina. È stato l’anello mancante tra tutta la parte testuale che avevo già in mente, la chiave della canzone. Johnny per me rappresenta la semplicità, la bellezza del naturale e di vivere in maniera più leggera la vita, senza l’ossessione della perfezione, dell’hypismo, di appartenere agli slogan modaioli sbandierati ovunque e che nella bella Milano diventano quasi un dogma per poter accedere a certi circuiti. Perché poi si parla tanto di inclusività ma siamo noi stessi, così facendo, ad escludere l’inclusione. Viviamo nei paradossi di questi tempi. Tutti eco sostenibili con l’ego insostenibile».

Ha vissuto per quasi dieci anni a Milano prima di decidere di tornare tra le colline dell’Oltrepò Pavese. Quanto ha influito questo cambiamento sulla scrittura e sulla musica?

«Poco. Nel senso che ho sempre scritto, anche a Milano. Scrivo sempre, a dire il vero, a volte anche in macchina, durante un viaggio, accosto e mi fermo a registrare una melodia o scrivere qualche appunto. È cambiato il mio modo di vivere il mio tempo in relazione alla musica, questo sì. È meno frenetico, più dedicato alla bellezza del momento che si crea quando arriva una nuova canzone da scrivere».

“Eco-sostenibilità” e “ego insostenibili”. Come riesce a bilanciare l’ironia e l’impegno nei testi senza cadere nel moralismo?

«Cerco di descrivere senza giudicare. Non voglio fare moralismi, descrivo semplicemente ciò che vedo cercando di evidenziare quello che secondo il mio occhio è qualcosa che vale la pena essere descritto. Niente di più, niente di meno. Ci sono canzoni dove abbondo con l’ironia come “Sei bravo Ma…” , “Non siamo tutti calciatori” e appunto “Johnny fa il miele” e poi canzoni dove evidenzio maggiormente la mia vena malinconica e profonda».

Il suo stile mescola generi diversi: rock, elettronica, pop, folk. Com’è stato lavorare con Davide Gobello in fase di produzione?

«Abbiamo lavorato su Hamilton e Johnny Fa il Miele. Mi ero trovato molto bene e quando ho pensato a chi poter mettere in mano la storia di Johnny ho pensato subito a Gobello. Ha un’impronta rock, quell’attitudine live che ritrovo in molti dei suoi arrangiamenti, perfetta per il sound che volevo».

Ha dichiarato che ogni brano dell’album racconta un momento di vita vissuto in prima persona. Quale tra le tracce la rappresenta di più oggi e perché?

«Ovviamente tutte le sento addosso e sono molto rappresentative. Punto è sicuramente una di quelle che ha un peso specifico personale molto importante. È stata un po’ una canzone spartiacque e che poi mi ha permesso di trovare il coraggio di iniziare un cammino diverso da quello che stavo seguendo».

Cosa spera che il pubblico porti con sé dopo aver ascoltato il disco?

«Sicuramente vorrei che si portasse via un po’ di MaLaVoglia e di quel cantautorato che porto nelle mie canzoni. Dopo l’exploit di Lucio Corsi a Sanremo si parla tanto di bisogno di cantautori e di canzoni vere. Le mie sono tutte tracce che raccontano storie, tutte molto diverse tra loro. Qualcuno, facendomi una critica, mi ha detto che non ho un genere etichettabile e questo porta a far apparire le canzoni slegate tra di loro in una sorta di incoerenza. È proprio quello che voglio. Non voglio appartenere, mi fa paura. È questo che manca oggi, il coraggio di essere davvero sé stessi e raccontarsi in maniera libera, senza paura di dover per forza essere inseriti in qualche casella».

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