Solo l'intervento della Dda di Lecce attraverso l'invio di pattuglie della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato ha impedito ad agosto scorso che un agguato lasciasse sull'asfalto altri due morti dopo quelli registrati alle case parcheggio solo un mese prima. È quanto emerge dalla lettura degli atti dell'inchiesta che ieri mattina ha portato in carcere cinque tarantini accusati dal pm Milto De Nozza di duplice tentato omicidio aggravato dal metodo mafioso e porto abusivo di armi.
In cella sono finiti Nico Salamina di 36 anni, difeso dagli avvocato Andrea Silvestre e Salvatore Maggio, che dal carcere avere ordinato di eliminare i due uomini del clan Appeso che mensilmente ritiravano il denaro dal suo fratellastro Viktor Rizzo (che gestiva temporaneamente il gruppo criminale) per consentire lo spaccio di droga nel rione Salinella. In carcere anche il 23enne Antonio De Mitri ritenuto l'organizzatore dell'agguato, il 22enne Francesco Alex Colella (entrambi assisti dall’avvocato Andrea Maggio) e il 18enne Riccardo De Pace entrambi individuati come gli esecutori materiale del delitto e Cosimo De Lauro di 29 anni accusato di aver ceduto le armi.
Tutto avviene nel giro di poche ore a fine agosto e comincia con le videochiamate che Salamina effettua tranquillamente pur essendo detenuto in carcere: durante una di quelle conversazioni, infatti, apprende che il suo gruppo criminale sbisce l'affronto di dover pagare il pizzo al clan Appeso: ogni mese, il suo fratellastro è costretto a versare una somma tra i 6mila e gli 8mila euro, per poter continuare a spacciare stupefacenti. Quando Salamina, personaggio di spicco del panorama delinquenziale ionico e protagonista di un terribile conflitto a fuoco a Tramontone a giugno 2024, capisce di essere stato sottomesso monta su tutte le furie e impartisce ordini chiari: «Mi dovete fare un favore!? Mo' vela faccio dare» afferma riferendosi secondo gli inquirenti alla pistola e poi aggiunge «A tutti e due!». Nel mirino ci sono Sean Perrelli e Umberto De Pane, gli emissari del clan Appeso a cui mensilmente viene consegnato il denaro. Grazie alle intercettazioni i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-finanziaria che conducono le indagini seguono passo per passo la vicenda: dalle innumerevoli videochiamate apprendono che il gruppo ha trovato le armi, il mezzo per eseguire l'agguato, e individuato gli esecutori materiali. Uno di loro, Riccardo De Pace ha appena 18 anni: tutti lo chiamano Riccardino e persino il boss Salamina lo carica come se fosse un allenatore dicendogli «Riccardì mi raccomando non mi deludere! Non ti preoccupare tu, le palle ci vogliono». In quelle frenetiche conversazioni inquadrano le armi, si scambiano consigli, pianificano i dettagli. E soprattutto pregustano la vittoria: «Stasera si festeggia! Si stappa lo champagne!».
Un progetto criminale che però non ha tenuto conto dell'azione dello Stato che attraverso la magistratura e gli investigatori ha mandato tutto all'aria: il pm De Nozza, infatti, una volta compreso che l'azione si sarebbe verificata di lì a poco ha immediatamente ordinato che pattuglie ben visibili delle Fiamme Gialle e della Questura raggiungessero la zona. Un deterrente efficace che ha immediatamente sparigliato del carte del gruppo: nelle chat infatti sono immediatamente arrivati messaggi, videochiamate e avvisi che informavano della presenza delle forze dell'ordine al punto da cancellare la pianificazione. Una strategia che ha spaventato per primo Viktor Rizzo che al telefono con altri membri del gruppo ripeteva «Circondato sto! Come te lo devo dire? Circondato! che dovete fare piu ormai! Circondato sto!».
Un progetto chiaro e ben definito, quindi, saltato alla fine grazie all'intervento dello Stato eppure per il gip Angelo Zizzari ai 5 indagati non si può contestare l'accusa di tentato omicidio perchè, come scrive nell'ordinanza, manca la manifestazione di «una concreta fase attuativa del piano criminoso, anche solo iniziale, anche solo intrapresa mediante la disposizione in atto di un agguato o almeno dell'incontro - anche solo dell'uscita di casa- dei soggetti agenti, finalizzato al compimento dell'omicidio». Insomma tutti gli elementi raccolti, le intercettazioni, le armi ritrovate a casa durante le perquisizioni, i filmati delle video chiamate non sono sufficienti a contestare un progetto omicidiario: il giudice infatti ha disposto la custodia cautelare in carcere solo per il possesso delle armi.
Ieri mattina, inoltre, i finanzieri hanno effettuato una raffica di perquisizioni belle abitazioni dei 19 soggetti complessivamente coinvolti nell’indagine: negli atti si legge infatti di un’organizzazione «tipicamente piramidale» che vedeva al vertice Salamina insieme con i fratelli Daniele e Vincenzo Leone: un gruppo in gradi gestire una serie di piazze di spaccio tra la Salinella e la borgata di Tramontone. Inoltre il detenuto Salamina ha
costantemente comunicato con i propri sodali grazie a un telefono nel carcere di Lecce e utilizzando applicazioni informatiche e quindi gli inquirenti non possono escludere che gli indagati abbiano usato messaggistica istantanea come whatsapp, instagram o telegram: ed è per questo che l’Antimafia ha disposto il sequestro di tutti i dispositivi in uso al gruppo. Non solo. Durante le perquisizione i finanzieri hanno ritrovato anche un significativo quantitativo di droga (oltre tre chilogrammi) e una pistola.
















