Non ci sono nemmeno gli elementi per avviare un processo. Sono stati prosciolti al termine dell'udienza preliminare i tre imprenditori finiti nell'inchiesta sulla presunta turbativa d'asta di una gara d'appalto da 22 milioni di euro per i «lavori di rettifica, allargamento ed adeguamento strutturale della banchina di Levante del Molo San Cataldo e della calata 1 del Porto di Taranto» bandito dall'Autorità di Sistema Portuale del Mar Ionio (estranea alla vicenda).
È il verdetto emesso dal giudice Pompeo Carriere che ha accolto la tesi del collegio difensivo. Sotto accusa erano finiti Eugenio Rainone, 49enne quale co-amministratore della società "Rcm Costruzioni srl" aggiudicataria della gara e difeso dagli avvocati Nicola Marseglia e Alessandro Diddi, e poi il 73enne Claudio Paccanaro ex amministratore unico del “Consorzio Stabile Alveare Network” e infine Vincenzo Cintura, 52enne palermitano dipendente del consorzio: la contestazione nei loro confronti è di essersi adoperati «con mezzi fraudolenti per turbare la regolarità della procedura ad evidenza pubblica diaffidamento dei lavori» e «con intese e collusioni» avrebbero indotto alcune società appartenenti al Consorzio Stabile Alveare Network a negare il proprio consenso affinchè la società concorrente «Doronzo Infrastrutture» potesse utilizzare il proprio volume di affari grazie all'istituto del cosiddetto «avvalimento».
L'indagine nasce da un esposto della Doronzo srl che dopo essersi classificata prima è stata esclusa dall'Autorità Portuale sulla base di una serie di documenti prodotti, secondo l'accusa, dalla Rcm. In sostanza, la Doronzo srl, aveva indicato il consorzio come una sorta di partner per raggiungere quei requisiti richiesti dal bando e che da sola la società non avrebbe potuto raggiungere. Per gli investigatori, i tre imputati avrebbero sostanzialmente convinto i vertici di alcune società consorziate a rifiutare quell'accordo per impedire l'aggiudicazione. Nelle carte dell'inchiesta, i carabinieri del Nucleo Investigativo di Taranto scrivono che, in parole povere, l'obiettivo degli indagati era «screditare, nei confronti dell'Autorità di Sistema Portuale di Taranto», il Consorzio Stabile Alveare Network in modo da rendere inutilizzabile l'avvalimento e quindi estromettere Doronzo Infrastrutture.
Nel corso dell'udienza preliminare però, la difesa ha smontato punto su punto tutte le accuse dimostrando innanzitutto come in sede amministrativa persino il Consiglio di Stato abbia certificato la regolarità della procedura e spiegando che nell'esposto erano contenuto solo frammenti della verità e delle procedure: gli avvocati hanno quindi fornito al giudice Carriere tutta quella parte di documenti e di ricostruzione mancante e una volta completato il puzzle sono riusciti a dimostrare la piena estraneità dei propri assistiti rispetto ai fatti narrati dal denunciante.
















