Il processo

«Serve il permesso per bere e per mangiare»: braccianti sfruttati a Ginosa, in 9 rinviati a giudizio

Alessandra Cannetiello

Devono difendersi dall’accusa di caporalato, ossia «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro»: tra questi anche i due fratelli ginosini Antonio e Domenico Castria, titolari della «Special one Srl»

Braccianti extracomunitari sfruttati tra le campagne di Ginosa, sottopagati e talvolta retribuiti “in nero” e addirittura nascosti all’arrivo dei carabinieri. Sono queste le accuse da cui dovranno difendersi a processo 9 imputati rinviati a giudizio dal gup Rita Romano.

Nel procedimento, che comincerà nel 2026 dinanzi al collegio presieduto dal giudice Fulvia Misserini, la Flai e la Cgil di Taranto si sono costituite parte civile attraverso l’avvocato Claudio Petrone.

Eccetto Gian Battista Cardinale che risponde per il solo favoreggiamento, tutti gli altri – difesi tra gli altri dagli avvocati Fiorella Gargaro e Gaetano Vitale - devono difendersi dall’accusa di “caporalato”, ossia «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro»: tra questi anche i due fratelli ginosini Antonio e Domenico Castria, titolari della «Special one Srl», azienda agricola che avrebbe impiegato la manodopera di cittadini stranieri.

Stando a quanto emerso dall’inchiesta del Nil, Nucleo Ispettorato del Lavoro dei carabinieri - coordinata dal pm Salvatore Colella - la manodopera era stata reclutata da Lawrence Chibuike, Naas Riadh, Ioan Magureanu e Muhammad Mubashar.

Ad Andrea Ruggieri e Graziuccio Spinelli, oltre al favoreggiamento per aver nascosto i braccianti durante una prima ispezione dei carabinieri, viene anche contestato di aver fatto da intermediari tra i caporali e i due fratelli, prelevando i lavoratori e portandoli nei campi.

I braccianti erano obbligati ad acquistare gli attrezzi per lavorare: il costo variava in base al grado di usura. Il kit prevedeva una cesta, un paio di forbici e una corda e aveva un prezzo che oscillava tra 14 e 42 euro: denaro che tutti i cittadini stranieri erano tenuti a versare per non rischiare di restare senza lavoro.

Indipendentemente dalle ore svolte il caporale Lawrence, per l’accusa, tratteneva dalla paga di ogni bracciante 5 euro al giorno: i compensi spesso venivano liquidati dopo molte settimane o in qualche caso mai. Le giornate lavorative potevano protrarsi anche 10 ore e sempre sotto la stretta vigilanza dei due Castria o del loro caporale e senza possibilità di fare pausa: «per bere o mangiare qualcosa bisognava nascondersi, come pure per andare in bagno», come aveva spiegato uno dei lavoratori stranieri alle forze dell’ordine.

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