la città che cambia
Taranto, «liberate» le colonne doriche: ecco il progetto per lo smantellamento della recinzione
Al via la valorizzazione dell’area archeologica con il ridisegno anche del giardino pubblico in piazza Castello, grazie ai finanziamenti del Cis
L’area in cui insistono le Colonne doriche in piazza Castello, ultime testimonianze dell’antico tempio, non sarà più recintata. E’ questo quello che, tra altri aspetti ovviamente, prevede il progetto esecutivo approvato nelle scorse settimane, per conto del Comune, dalla società pubblica Invitalia.
A riferirlo, nel corso di un colloquio con la Gazzetta, è Nello De Gregorio, noto operatore culturale tarantino e presidente dell’associazione “Nobilissima Taranto”.
Ed è, infatti, lo stesso De Gregorio a far sapere che Invitalia ha ormai pronto il bando di gara che ridisegnerà l’area archeologica e il giardino antistante in piazza Castello.
Si tratta di un altro dei progetti che fa parte delle schede inserite nell’ambito del cosiddetto Contratto istituzionale di sviluppo per Taranto (Cis), finanziate all’epoca del governo Conte II.
In particolare, l’associazione “Nobilissima Taranto”, proprio su queste pagine, aveva evidenziato le forti perplessità che riguardano, invece, l’intervento di restyling del resto della piazza, soprattutto con riferimento alla valorizzazione delle pavimentazioni esistenti (chianche e basole laviche). Ma, contestualmente non si può non enfatizzare “l’alta qualità – assicura Nello De Gregorio - che caratterizza, stando alla relazione di Invitalia e alcune immagini del progetto esecutivo, il ridisegno dell’area archeologica. Certo, avremmo voluto – ammette De Gregorio - che tutta l’area archeologica, comprendente le colonne e i resti del convento dei Celestini, oggi al di sotto del giardino, fosse ridisegnata. Ma, probabilmente allo stato questo - osserva l’operatore culturale tarantino - non è stato possibile per ragioni economiche, ma c’è sempre tempo per un ulteriore intervento. Oggi prendiamo comunque atto, favorevolmente, di quanto leggiamo nel comunicato di Invitalia”.
Che, in effetti, riportando di seguito testualmente un passaggio contenuto nella stessa relazione, precisa: “l’intervento previsto mira a risolvere alcune criticità presenti nel sito, valorizzando la storia del più rilevante monumento archeologico della Città Vecchia attraverso una nuova sistemazione dell’area. Il sito verrà liberato dall’attuale recinzione, ritornando a dialogare direttamente con lo spazio pubblico prospiciente. E i reperti oggi sommersi ubicati al di sotto dei giardinetti di fronte all’area delle colonne doriche, già scavati nel 1993 verranno nuovamente messi in luce – si riporta ancora - ampliando l’attuale area archeologica, dove le colonne rappresenteranno solo uno degli elementi di un racconto pluristratificato della storia millenaria della città. La sistemazione esterna, inoltre, per migliorare la visibilità delle colonne e degli ulteriori scavi, prevede la rimozione delle essenze arboree già presenti, oltre una sistemazione più corretta della piazza del Municipio. Quest’area viene ripavimentata con basole in pietra. In ultimo, la parete di fondo del convento di San Michele viene inserita all’interno della sistemazione divenendo una scenografia verticale sulla quale rilevare una prospettiva del tempio, che possa evocare i volumi e le forme geometriche del tempio, anche in alzato”.
Sin qui, Invitalia. Tutto bene, dunque, Anche se, in realtà, il presidente dell’associazione “Nobilissima Taranto” si concede un’unica osservazione rispetto al progetto approvato.
“Ma perché utilizzare – si chiede Nello De Gregorio - quegli organi illuminanti (fuori dal gergo pali o lampioni della pubblica illuminazione, ndr), come quelli di pessimo gusto utilizzati per il waterfront, e non invece inserire organi simili a quelli già presenti in Città Vecchia?”. E con quest’interrogativo, si conclude il colloquio di De Gregorio con la Gazzetta.
E ora, infine, qualche inevitabile cenno storico. Le Colonne, oggi visibili in piazza Castello, facevano parte di un tempio di età magnogreca e sono databili all’inizio del VI secolo avanti Cristo.
Il grande luogo di culto, dedicato certamente ad una divinità femminile, era uno dei templi ed edifici pubblici che occupavano l’acropoli della città.
Della struttura, che anticamente contava sei o otto colonne sul lato corto e quindici o diciassette su quello lungo, se ne conservano solo due e parte di una terza. Inoltre, la datazione del tempio al primo venticinquennio del VI secolo a.C. lo rendono il più antico di tutta la Magna Grecia.
Le indagini archeologiche hanno ricostruito gran parte degli avvenimenti successivi all’edificazione del luogo di culto, che da un edificio molto semplice probabilmente in legno e mattoni crudi, ha acquisito dimensioni sempre più monumentali per essere abbandonato, probabilmente, con la presa romana della città.
L’area, durante l’età tardo-antica fu quasi certamente utilizzata come zona di cava e poi destinata ad abitazioni o ambienti funzionali dotati di silos e granai.
Se il dato della frequentazione longobarda risulta quasi praticamente assente, è possibile ipotizzare che nell’area sacra pagana, fin dal X secolo dopo Cristo, fosse stata ricavata una piccola chiesa cristiana la cui presenza risulta attestata fin al basso Medioevo.
Dall’analisi di alcune fonti è possibile affermare che il piccolo luogo di culto, che forse inglobava parte delle strutture antiche, fosse dedicato a Santa Maria dei Martiri. Nei secoli successivi, lo spazio urbano sembrerebbe sia stata occupato da abitazioni e da aree produttive poi sostituite dal Convento dei Celestini demolito nel 1926-1927 e dalla chiesa della Santissima Trinità demolita negli Anni Settanta del Novecento.