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L'ex Ilva rischia di fermarsi: a Taranto in 4.000 verso la cassa integrazione

 
Mimmo Mazza

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Mimmo Mazza

L'ex Ilva rischia la fermata: a Taranto in 4.000 verso la cig

Dopo l’incidente all’altoforno 1 la capacità produttiva è dimezzata. La polemica di Melchiorre (FdI): «La Procura ha autorizzato in ritardo le azioni di salvaguardia»

Martedì 13 Maggio 2025, 05:00

13:02

TARANTO - Il ritardo con cui sono stati autorizzate dalla Procura di Taranto le azioni di salvaguardia dell’altoforno 1 dell’ex Ilva dopo l'incendio di mercoledì scorso, avrebbe arrecato gravi danni all’impianto, ritenuto non riavviabile prima della fine dell’anno (e con una spesa di alcune decine di milioni di euro) e potrebbe dunque aver compromesso la possibilità di rispettare il cronoprogramma industriale che prevedeva il raggiungimento di determinati target produttivi e la vendita del complesso aziendale agli azeri di Baku.

Una situazione allarmante che stamattina potrebbe portare i commissari di Acciaierie d’Italia ad annunciare la necessità di mettere in cassa integrazione 5500 dipendenti, 4000 dei quali a Taranto, e la chiusura di alcuni siti produttivi, come quello di Novi Ligure. Attualmente la cassa nel gruppo è autorizzata per 3.062 cassintegrati a rotazione su poco meno di 10mila dipendenti, di cui 2.680 a Taranto su poco meno di 8mila addetti.

Il blocco dell’altoforno 1 ha lasciato il siderurgico di Taranto con un solo altoforno in funzione, il 4, dimezzando la produzione, già minima rispetto agli standard storici e di sostenibilità. L’altoforno 1 secondo i tecnici AdI, a causa del mancato colaggio nelle ore immediatamente successive all’incidente, non sarà di fatto utilizzabile fino a fine anno. L’altoforno 2 non tornerà operativo prima di alcuni mesi e dunque con una capacità produttiva così ridotta, è evidente che non saranno buone notizie quelle che stamattina alle 9 saranno al centro dell’incontro in modalità videoconferenza tra commissari straordinari e organizzazioni sindacali (nazionali e locali)...

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L'AZIENDA CHIEDE LA CIG PER 3926 LAVORATORI, 3538 A TARANTO

Acciaierie d’Italia in As ha comunicato ai sindacati la richiesta di cassa integrazione per 3926 lavoratori, di cui 3538 nello stabilimento di Taranto, dopo il dimezzamento della produzione in seguito al sequestro disposto dalla procura dell’altoforno 1 dove il 7 maggio scorso si è verificato un grave incendio a causa dello scoppio di una tubiera. E’ stata chiesta la cig anche per 178 lavoratori del sito di Genova, 165 di Novi Ligure e 45 di Racconigi.

A illustrare le decisioni dell’azienda, nel corso di una riunione in videoconferenza, è stato il responsabile delle Risorse Umane Claudio Picucci. Per i sindacati nazionali eranno presenti Valerio D’Alò della Fim Cisl, Loris Scarpa della Fiom Cgil, Guglielmo Gambardella della Uilm e Francesco Rizzo dell’Usb.
L’Afo1 è stato sottoposto a sequestro probatorio senza facoltà d’uso nell’ambito dell’inchiesta condotta dal pm Francesco Ciardo che ha iscritto nel registro degli indagati il direttore generale Maurizio Saitta, il direttore dello stabilimento, Benedetto Valli, e il direttore dell’area altiforni, Arcangelo De Biasi. I reati ipotizzati sono omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e getto pericoloso di cose. A uno degli indagati è contestata anche la mancata comunicazione in base alla legge Seveso sull'incidente rilevante.
La procura ha poi dato il via libera ad alcune attività di manutenzione e messa in sicurezza ma secondo l’azienda «non sono state autorizzate nei tempi utili, rendendo ora non più applicabili le procedure standard di esecuzione». Stando a quanto evidenziato l’azienda, «nel momento in cui dovessero essere autorizzate, oggi, dopo oltre 120 ore dall’evento, non è più possibile procedere con il colaggio dei fusi, con la conseguenza che, in caso di riavvio, si dovranno adottare procedure straordinarie, complesse e con esiti assolutamente incerti». E «questo blocco potrebbe aver compromesso la possibilità di rispettare il cronoprogramma industriale"
Anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, è intervenuto ieri osservando che «più che le trattative in corso l’incidente può compromettere la ripresa degli stabilimenti e l’occupazione. Verosimilmente l’impianto è del tutto compromesso».

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