TARANTO - «Se il sequestro dell’altoforno prevederà anche l’inibizione all’uso dovremo necessariamente aspettarci un forte numero di lavoratori in cassa integrazione e una riduzione significativa della produzione. Ma se il provvedimento inibirà anche la manutenzione degli impianti che deve essere effettuata nelle prossime ore, compromettendo per sempre il ripristino dell’altoforno, potete immaginare quali possono essere le conseguenze. E’ chiaro che se qui si crea un’altra Bagnoli finirà come a Bagnoli». Lo ha detto a Taranto il ministro delle Imprese e Made in Italy Adolfo Urso, parlando del sequestro dell’altoforno1 dell’ex Ilva.
«Aspettiamo ovviamente, nel rispetto - ha aggiunto - dell’equilibrio dei poteri le decisioni dei magistrati. C'è l’auspicio che la procura non inibisca la manutenzione dell’altoforno perchè altrimenti tra poche ore, se non fosse possibile intervenire per mettere in sicurezza l'impianto non sarebbe comunque più possibile riattivarlo. Il che, come detto, significa da subito essere costretti a mandare in cassa integrazione un numero consistente di lavoratori con, probabilmente, la fine del sogno della siderurgia green a Taranto perchè nessun investitore investe in una industria che ha già chiuso la sua attività produttiva».
«L'investitore - ha detto ancora il ministro - investe nella riconversione ambientale e tecnologica dello stabilimento se c'è uno stabilimento in attività».
«Un Ministro che dovrebbe garantire soluzioni in linea con la Costituzione arriva a paventare il rischio che Taranto diventi una 'nuova Bagnoli', come se fosse una minaccia, come tante volte abbiamo già sentito dire, dal 2012 ad oggi. Ma caro Ministro, magari Taranto finisse davvero come Bagnoli! Almeno lì gli impianti sono stati spenti, la produzione si è fermata e - nonostante colpevoli ritardi - si è avviato un processo di bonifica». Lo sottolinea il movimento Giustizia per Taranto replicando a dichiarazioni rilasciate oggi dal ministro delle Imprese e made in Italy Adolfo Urso a margine dell’inaugurazione del Tecnopolo del Mediterraneo.
«A Taranto, invece, caro ministro, si continua a produrre acciaio - aggiungono gli attivisti - su impianti sotto sequestro per disastro ambientale, mentre si sacrifica una città intera in nome di una produzione che non garantisce né salute, né lavoro, né futuro. Lei auspica che l’Afo1 venga riattivato per non scoraggiare gli investitori. Siamo al paradosso: bisogna continuare a inquinare oggi, per promettere che forse un domani qualcuno trasformerà l’impianto in green».
Si parla, conclude il movimento, «di futuro, ma sembra di essere tornati al 2012 e si prospetta un Aia con produzione a carbone per almeno altri 12 anni. Il vero disastro non sarebbe diventare Bagnoli, dove non si muore più per la produzione. Il vero disastro è continuare ad essere Taranto, così com'è oggi. Il vero disastro è continuare a seguire la rotta che volete voi».