MONTEPARANO - Sarà un processo a stabilire le eventuali responsabilità del titolare dell’impresa edile e di altri due professionisti impiegati nella ditta, per l’incidente avvenuto a Monteparano nel 2021 in cui un dipendente 59enne era caduto da 4 metri di altezza per il cedimento di una pedana. L’uomo, che era al primo giorno di lavoro, aveva poi riportato un’invalidità al 90 per cento a seguito dell’infortunio. A deciderlo, il giudice Laura Orlando al termine dell’udienza predibattimentale. Il 59enne si è poi costituito parte civile attraverso l’avvocato Alessandro Cavallo quantificando in 500mila euro la richiesta di risarcimento.
L’accusa mossa dal pm Filomena Di Tursi, oltre che per l’imprenditore, anche per il direttore dei lavori e il coordinatore responsabile dell’esecuzione dei lavori, è di cooperazione in lesioni colpose: al titolare, difeso dall’avvocato Leonardo Lanucara, l’accusa contesta di non aver redatto prima dell’inizio dei lavori il piano di sicurezza, mentre al direttore dei lavori di non aver «verificato e controllato» l’esistenza e l’applicazione di tale piano.
L’incidente si è verificato mentre il 59enne stava realizzando un soffitto a botte in una casa coloniale: l’uomo era salito sulle tavole in legno per completare la muratura del solaio quando improvvisamente la pedana si è rotta ed è caduto da diversi metri di altezza. Un infortunio costato al lavoratore una prognosi di 8 mesi per il trauma cranico, diverse fratture e altre lesioni e che ha comportato un’invalidità quasi totale e la conseguente impossibilità a svolgere il suo lavoro in futuro.
A poco più di un mese da quell’incidente, però, il 59enne si è visto arrivare una lettera dall’ufficio legale dell’impresa di costruzioni che dopo aver ricevuto il suo certificato medico ha spiegato che non solo lui era «estraneo ed anzi sconosciuto» alla ditta, ma che non avesse mai avuto alcun rapporto con loro. La comunicazione era proseguita con il disconoscimento di ogni responsabilità nel suo infortunio e l’avvertimento ad agire in sede giudiziaria per eventuali danni causati dalle «illegittime pretese» del dipendente. Inoltre, nella missiva, si spiegava che il lavoratore non era autorizzato a stare lì quel giorno e che l’accesso al cantiere «regolarmente recintato e chiuso» era avvenuto in modo «arbitrario» e del tutto «illegittimo». Una situazione paradossale portata anche davanti al magistrato e chiarita in favore del lavoratore: sul contenzioso processuale, però, la questione si è invece appena aperta.