TARANTO - È stata condannata a 2 anni la 25enne georgiana finita a processo per aver abbandonato il figlio subito dopo il parto vicino ai cassonetti di via Pisanelli, nel centro di Taranto, nell’agosto dello scorso anno. Per la 25enne che ha scelto di essere giudicata in abbreviato, il giudice Giovanni Caroli ha stabilito una pena più lieve rispetto ai 4 anni chiesti dalla pubblica accusa. I difensori, gli avvocato Paolo Di Bartolo e Francesco Zinzi, hanno infatti ottenuto l'assoluzione dall'accusa grave del tentato infanticidio: la donna, insomma, per il giudice non voleva uccidere il bambino, ma solo allontanarlo da sé.
Nel corso delle scorse udienze, la donna aveva infatti spiegato al magistrato di essere uscita di casa dopo il parto e di aver provato a chiedere aiuto, ma senza trovare nessuno: «Non sapevo come fare e quindi l'ho posizionato accanto ai cassonetti. Ho lasciato il sacchetto aperto perché potesse respirare, non ho mai voluto che morisse. Ero terrorizzata per la condizione che vivevo nel mio Paese, ma anche di perdere il lavoro come badante dalla signora. Ero anche spaventata di essere denunciata se avessi abbandonato la persona che mi era stata affidata. Mi dispiace per quello che è accaduto. Io amo mi figlio Gabriele e non ho mai voluto che morisse».
I fatti risalgono, come detto, al 12 agosto del 2023 quando il bimbo venne tratto in salvo da una passante che sentendo il neonato piangere aveva immediatamente chiamato la polizia.
La 25enne era arrivata in Italia nel marzo dello scorso anno già al quarto mese di gravidanza: ai poliziotti aveva raccontato in preda alla disperazione di essere sola e di non ricevere l’aiuto di nessuno.
Per il pm Marzia Castiglia, che aveva coordinato le indagini, la georgiana aveva agito con l’intento di causare la morte del piccolo, ma quella scelta di abbandonare il suo bambino era da rintracciare nelle «condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto»: lo stesso magistrato inquirente aveva infatti evidenziato nell'atto di accusa che si trattava di una «donna sola di giovanissima età, di nazionalità georgiana, da poco giunta in Italia e in condizioni di bisogno economico, priva di riferimenti assistenziali». Il giudice, per, ha ritenuto che i suo obiettivo non era quello di togliere la vita al neonato.
Dopo aver ricevuto un mandato di espulsione dall’Italia, la cittadina georgiana è poi riuscita a ottenere dal tribunale dei minori la permanenza per altri 3 anni sul territorio italiano. La presidente del collegio, Patrizia Famà aveva motivato la decisione spiegando che «l’espulsione della donna provocherebbe nel minore, nato in questo territorio, un distacco di tipo traumatico dalla unica figura genitoriale di riferimento» e che il bimbo «vive da sempre unito alla mamma e ha estremo bisogno di continuare l’esperienza di attaccamento». Aggiungendo poi, che la 25enne «nonostante le difficoltà e l’innegabile shock emotivo iniziale si è saputa e voluta affidare mantenendo fermo il suo interesse materno; che è assente qualsiasi tipo di allarme sociale» e che se «il minore seguisse la madre nel paese di destinazione, verrebbe meno la fonte di reddito e l’allocazione abitativa con la quale è stata sinora garantita la sua sopravvivenza e dunque la precondizione del benessere psicofisico». La donna e il suo bambino sono da tempo affidati ai servizi sociali e ospiti di una comunità che favorisce il ricongiungimento tra genitori e figli.