Il futuro della città

Demolizioni navali, c’è Taranto: Tabarelli, commissario AdI, sonda il campo con Confindustria e Marina Militare

Federico Pirro

Siderurgia ambientalizzata, petrolchimica, navalmeccanica ed ict con le loro supply chain. Senza queste industrie Taranto non ha futuro

TARANTO - Bene ha fatto Davide Tabarelli, uno dei tre commissari di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria, a visitare ieri l’altro l’area di Taranto per verificare presso aziende della Confindustria e la Marina Militare la possibile domanda di acciaio che l’industria di trasformazione locale già esprime o potrebbe esprimere nei confronti del siderurgico, il cui compendio è in vendita secondo quanto stabilito dal relativo bando. È stata una prima visita cui è auspicabile ne seguano altre, anche perché vi sono diverse aziende da visitare aderenti ad altre associazioni di categoria che operano anch’esse nella filiera di subfornitura della Acciaieria e, almeno le maggiori, sono consumatrici del suo acciaio per commesse non costituite da quelle di AdI.

Ora nell’ambito di una prima panoramica delle potenzialità esistenti nell’area ionica, è stato focalizzato nel corso della visita un altro tema di rilevante interesse per il territorio, e riguardante la possibilità che a Taranto vengano demolite navi della Marina Militare al fine di produrre rottame (recuperando anche altro materiale) non solo per la siderurgia da forno elettrico del nostro Paese, ma anche per gli altiforni del siderurgico.

Le cronache dell’evento hanno ricordato che la Marina Militare manda il naviglio fuori esercizio e da smantellare in Turchia e che il Ministro Crosetto avrebbe chiesto lumi in proposito all’arma, chiedendole di valutare l’ipotesi della demolizione nel capoluogo ionico.

Ora è opportuno ricordare al riguardo che già alcuni anni orsono e precisamente nel 2017 venne elaborato dall’Autorità di sistema portuale di Taranto, dal Politecnico e dall’Università di Bari - presenti con loro Dipartimenti in città - un primo progetto (di massima) denominato Lamiere 2.0, ovvero di Green ship recycling che affrontava proprio il tema appena ricordato, e cioè la possibilità che navi ormai fuori servizio venissero demolite nel porto ionico sul modello di La Spezia, nel cui Arsenale erano state allestite le aree per le demolizioni delle fregate Alpino e Carabiniere, essendovi stato, se non andiamo errati, un provvedimento della Magistratura che faceva divieto di mandare all’estero naviglio contenente amianto. L’ipotesi di svolgere tale attività nell’Arsenale tarantino incontrò allora le riserve della Marina che temeva intralci ai suoi lavori ordinari, e l’ulteriore inquinamento del Mar piccolo. Si pensò allora a localizzare il cantiere in un’area di 50mila metri quadrati del grande yard Belleli, dopo averlo bonificato con tecniche di capping.

Si giunse anche ad un evento nella sala del Consiglio comunale per la sottoscrizione di un protocollo di intesa fra l’Autorità di sistema portuale e la Agenzia Industrie Difesa per avviare il percorso di collaborazione, finalizzato a portare in città un’attività che avrebbe creato un’elevata occupazione.

Poi però il progetto si insabbiò e non produsse altro che lodevoli dichiarazioni di intenti. Ora, per riprenderlo, bisognerebbe appurare se è ancora vigente il divieto della Magistratura di trasferire navi con amianto all’estero - parrebbe di capire di no, se oggi vengono trasferite per la demolizione in Turchia - e se fosse possibile ampliarlo, coinvolgendo l’armatoria privata nel progetto.

In proposito è opportuno ricordare che in uno degli studi che sono stati preparati dallo scrivente per il Piano strategico della Zes unica – recentemente approvato dalla cabina di regia – si è esplicitamente ripresa l’ipotesi di creare a Taranto un centro di demolizioni navali non solo di naviglio militare ma anche di quello civile per rifornire di rottame - sempre più scarso e costoso a livello internazionale - l’industria siderurgica italiana.

Ora è evidente che se si decide di andare all’estero per eseguire le demolizioni deve esservi convenienza a farlo, costituita presumibilmente da costi più bassi, per cui se si dovesse realizzare - come auspicato durante i lavori di redazione del Piano strategico - un centro altamente attrezzato per tale attività a Taranto, bisognerà valutare con grande attenzione l’intera costistica non solo del cantiere necessario ai lavori, ma anche del suo esercizio.

L’Autorità di sistema portuale, che a suo tempo si era detta disponibile a favorire per quanto di sua competenza tutte le procedure amministrative per la creazione del cantiere - riservandosi invece ad imprese possibilmente locali e consorziate le attività vere e proprie di demolizione delle imbarcazioni, oltre che la costruzione del cantiere - potrebbe tornare ad assolvere un ruolo promozionale dell’iniziativa, sulla quale a suo tempo si era espresso favorevolmente il direttore della Agenzia Industrie Difesa Giancarlo Anselmino.

Sarà necessario pertanto partire con un confronto di merito con la Confitarma e la stessa Federacciai per verificare con esse e con le imprese loro aderenti la concreta fattibilità del progetto che potrebbe generare notevole occupazione nel capoluogo ionico.

Certo, in un momento in cui si sta lavorando a livello governativo e nelle singole regioni del Sud per rafforzare l’armatura produttiva dell’Italia meridionale sarebbe un vero peccato continuare a trasferire all’estero occasioni di lavoro che invece potrebbero realizzarsi (in logiche di mercato) nell’Italia meridionale e in un’area come quella tarantina che da anni ormai – e ancora per lungo tempo – avrà bisogno dell’impegno del Governo, della Regione e di tutte le componenti istituzionali e degli stakeholder più qualificati per ritornare ad essere una grande città industriale del Mediterraneo.

Una città industriale - vogliamo ribadirlo ancora una volta – che dovrà continuare il percorso di diversificazione della sua economia, conservandone però in logiche di ecosostenibilità una salda colonna vertebrale manifatturiera, imperniata su siderurgia ambientalizzata, petrolchimica, navalmeccanica ed ict con le loro supply chain. Senza queste industrie Taranto non ha futuro.

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