Storie di periferia
Taranto: Porta Napoli, luci e ombre nei progetti di riqualificazione urbana
Prostituzione, spaccio e scarsa pulizia sono la preoccupazione dei nuovi inquilini del quartiere. e non solo. Don Alessandro Greco: «Negli ultimi anni c’è stata una involuzione»
TARANTO - Nel quadro la «Veduta del Porto» di Taranto di Hackert, vedutista di corte di Ferdinando IV di Borbone, Porta Napoli è ancora una spiaggia, ma si vedono già stoccate delle merci. Poi è stato costruito il porto, la stazione, i capannoni e il mercato del pesce. C’è stato un progetto per renderla Zona Franca e mille altre iniziative per riqualificarla. È il quartiere delle possibilità e delle promesse che ciclicamente vengono deluse. Da qui si gode della vista più bella della città. Siamo tra il varco Est del Porto, la Croce, il quartiere Tamburi e il Ponte di Pietra. Arrivando dal cavalcavia si legge «Benvenuti Taranto», anzi in un anello di congiunzione stradale chiamato Isola Porta Napoli.
«Diciotto anni fa ho pensato di investire in questa zona, credendo che si potesse riqualificare. Qui sarebbe dovuta sorgere la Zona Franca, che ha portato tanti ad investire. Ma se ne è solamente parlato». A raccontare è Giuseppe Perrone. Tutti lo chiamano Peppe ed è il proprietario del panificio Apollo, che si trova in via Niceforo Foca proprio alle spalle della piccola chiesetta dedicata alla Madonna di Costantinopoli. Quando ha aperto il suo panificio tavola calda, in questa zona c’era il progetto di creazione di una zona in cui sono concessi benefici di carattere doganale e fiscali. Ma a Taranto il progetto non è mai andato in porto. «All’epoca mi hanno dato del pazzo - racconta ridendo – ma ho avuto il coraggio di farlo». Peppe dà lavoro a 10 persone che abitano tra Tamburi e Città Vecchia e cucina per tutti coloro che lavorano nella zona industriale. L’imprenditore si dice contento che molti giovani abbiano investito nei capannoni vicino al suo, ma è anche preoccupato per la situazione di abbandono in cui versa il quartiere. «Porta Napoli è stata lasciata in abbandono – spiega – e nonostante ci siano persone che stanno investendo, non è seguita bene da chi dovrebbe. Ci sono tanti progetti, ma la sera ci sono ancora le lucciole. E poi non c’è pulizia. È una zona lasciata a se stessa».
Prostituzione, spaccio e scarsa pulizia sono la preoccupazione anche dei nuovi inquilini del quartiere. Ma Porta Napoli è da sempre un luogo di lavoro destinato alle attività portuali e cantieristiche legate al mare, caratterizzato da officine e depositi, i «docks» costruiti a partire dagli anni ‘20. È per questo che, salvo poche eccezioni, quest’area non è appetibile per la residenza, attirando così il degrado sociale. «Non c’è pulizia, non c’è attenzione dei luoghi. Le aspettative che, noi di Ammostro avevamo sei anni fa, sono completamente state tradite. Oltre ai bandi per la riqualificazione, non è mai stato fatto nulla di concreto». Lei è Maria Martinese che, insieme a Candida Semeraro, più di sei anni fa è arrivata qui con Ammostro un progetto di serigrafia naturale. Oggi il loro capannone è un centro culturale che ospita più animi. «Alle difficoltà quotidiane - dice Candida Semeraro - si uniscono i ragazzi che scappano dall’Hotspot, poco distante da qui, ed è complicato. È un dispiacere dover assistere a queste scene. Proviamo ad aiutarli ma oltre l’emergenza non riusciamo ad andare».
Come loro, qui c’è anche La Factory, un hub creativo su cui ha investito tutto Alessandra Pischetola che racconta: «è una zona veramente molto particolare, dovrebbe essere guardata con un po’ più di attenzione, affrontando le problematiche affinché questa zona possa essere vissuta realmente». «Io onestamente continuerei a scegliere Porta Napoli – sottolinea Candida – per il senso di comunità che si è venuto a creare. Tutti noi qui investiamo tantissimo».
Il potenziale di porta Napoli è nelle mani di chi la abita e che spesso fa da collettore sociale. Lo Spazio Porto e i locali intorno attirano tantissime persone e portano luce in un luogo altrimenti buio. Questa è stata una zona di maestri d’ascia che con i loro cantieri navali erano attrattori di commercio. Oggi guarda le navi da crociera e i grandi mercantili arrivare e andare via. Eppure la tradizione marinaresca è conservata da luoghi come l’Officina Maremosso. Inoltre è una zona di musica, cinema e creatività. Ma per ospitare qui mancano le basi.
«In questi anni ho notato una involuzione. Prima era un quartiere abitato e vivo, ma mancando le persone si sono ridotti i servizi: dopo il Ponte di Pietra c’era una farmacia che oggi non c’è più». Don Alessandro Greco è arrivato a Porta Napoli nel 1976 e prima di essere il cappellano della stazione era in parroco della chiesa Stella Maris, di cui oggi resta solo la statua conservata nella cappella della ferrovia, alle spalle delle Poste. «Fino al 1989 - ricorda – la parrocchia era in via delle Fornaci, vicino al mare. In una palazzina delle case popolari, scala C palazzina XXIV Maggio. Una delle cinque palazzine che poi furono abbattute. Quando le famiglie ricevettero l’ordinanza di sgombero, lo ricevette anche la Chiesa». Per don Alessandro il degrado del quartiere è andato di pari passo con lo svuotarsi della stazione. La palazzina in cui si trova la cappella oggi è completamente vuota, mentre prima era abitata. Una declino da cui tutti sperano di risollevarsi.
I progetti ci sono, sia per la riqualificazione della stazione che del quartiere, le navi da crociera sbarcano turisti, così come le motonavi Clodia e Adria. Ma tutti gli intervistati sono d’accordo su un punto: quello che serve è proprio un progetto e questa volta non tanto urbanistico quanto politico che miri al futuro di una zona che non è più solo un’isola di congiunzione stradale.