La sentenza

Tangenti in Marina a Taranto, due condanne e 5 assoluzioni

Francesco Casula

Sette anni di carcere all’ex vice direttore di Maricommi e all’ufficiale dello Stato Maggiore di Roma

TARANTO -  Gli ufficiali della Marina militare di Taranto non hanno minacciato gli imprenditori dell’indotto a pagare le tangenti: solo due di loro le avrebbero ottenute, ma attraverso promesse indebite. È quanto ha stabilito il tribunale ionico che nella serata di ieri ha emesso la sentenza con la quale ha condannato due imputati e assolto altri cinque militari. Il collegio ha infatti riqualificato l’accusa di concussione in induzione indebita a dare o promettere utilità e dichiarato la prescrizione per alcuni capi di imputazione: nel verdetto i giudici hanno inflitto 7 anni di reclusione all’ex vice direttore di Maricommi, Marco Boccadamo e l’ufficiale all’epoca dei fatti in servizio allo Stato Maggiore di Roma Attilio Vecchi e, nonostante la prescrizione, hanno assolto nel merito gli altri cinque imputati Riccardo Di Donna, Alessandro Dore, Giovanni Caso e Giuseppe Coroneo. Assolto anche l’ex vice direttore di Maricommi Giovanni Cusmano, ufficiale difeso dall’avvocato Gaetano Vitale che in fase di indagine si era dichiarato colpevole salvo poi ritrattare nel corso del processo.

Una sentenza di assoluzione per i cinque imputati che, dando ragione ai difensori, tra i quali anche Diego Maggi, Gaetano Vitale, Massimiliano Petrachi, Massimo Pagano e Giosuè Naso, non ha sostanzialmente tenuto conto della sentenza della Cassazione che ha condannato definitivamente per concussione il primo ufficiale arrestato nell’inchiesta Roberto La Gioia. Per quest’ultimo infatti la Suprema corte ha confermato che il reato era concussione e la vicende pende ora dinanzi alla Corte d’appello che dovrà esclusivamente determinare la pena nei suoi confronti.

Bisognerà attendere le motivazioni per comprendere fino in fondo la decisione del tribunale, ma appare chiaro che la sentenza descriva un quadro differente da quello dell’accusa e delle richieste di pena avanzate il 7 aprile scorso dall’ex procuratore aggiunto Maurizio Carbone che guidò l’indagine dei carabinieri. Il magistrato inquirente aveva chiesto sette condanne con pene che arrivavano in alcuni casi fino a 12 anni di reclusione per due imputati.

«Gli imprenditori che hanno rotto il muro dell’omertà hanno smesso di lavorare con la Marina militare e sono stati profondamente disprezzati da chi oggi è sotto processo» aveva sostenuto Carbone nelle oltre due ore di requisitoria durante la quale ha ripercorso le fondamentali di quella vicenda partendo proprio dal giorno in cui i carabinieri all’epoca guidati dal capitano Pietro Laghezza, arrestarono in flagranza di reato Lagioia che aveva appena intascato una mazzetta. Finito in carcere l’allora comandante del IV reparto iniziò la sua collaborazione con gli inquirenti svelando l’esistenza del «sistema del 10 percento»: ogni imprenditore, in sostanza, era tenuto a versare tangenti del 10 percento del valore di un appalto per evitare di essere escluso dai successivi bandi di gara oppure l’allungamento dei tempi per i pagamenti. Le sue dichiarazioni portarono all’arresto di diversi militari per i quali ieri è arrivata la sentenza. La difesa aveva invece sostenuto che nessuno degli imprenditori era mai stato minacciato e aveva spiegato come dal processo fosse emerso che gli ufficiali accusati di essere aguzzini, anche dopo la loro partenza da Taranto verso altre basi militari continuavano a essere invitati dagli imprenditori a eventi familiari, segno di un legame che non poteva essere frutto di una costrizione.

Privacy Policy Cookie Policy