L'intervista

Taranto, parla il questore: «Il Covid ha cambiato la mala»

Maristella Massari

Bellassai: «La droga il primo affare della criminalità dopo i lunghi mesi di lockdown. Calano tutti i reati, ma non lo spaccio»

Un vero e proprio crocevia, una piazza piuttosto effervescente per lo spaccio delle sostanze stupefacenti. Il delitto del 39enne Graziano Rotondo, consumato lo scorso 16 dicembre in via Machiavelli al rione Tamburi e risolto in poche ore dagli investigatori della squadra Mobile con l’arresto dei due presunti autori, Vincenzo Balzo e Carmelo Nigro, ha portato alla ribalta della cronaca un elemento che alle forze dell’ordine - e non solo - era già tristemente noto. Il mercato degli stupefacenti è più florido che mai. Complice anche il momento di crisi legato all’emergenza sanitaria, da un lato la domanda di stupefacenti è cresciuta, dall’altro, il “settore” è servito alla malavita per recuperare terreno su altri tipi di affari illeciti che il lockdown ha reso più a rischio di essere scoperti dalle forze dell’ordine, come le estorsioni, ad esempio. Ne abbiamo parlato con il questore di Taranto, Giuseppe Bellassai.

Dopo l’omicidio Rotondo, la Squadra Mobile ha sequestrato oltre 6 chili di droga, per lo più cocaina ed eroina. Sotto quel palazzo dei Tamburi si nascondeva una miniera d’oro e di morte. È stata una sorpresa?
«No, purtroppo nessuna sorpresa. Solo una scoperta. Il sequestro della droga scaturito dall’indagine della Squadra Mobile sull’omicidio Rotondo evidenzia una situazione di criticità che ci è bene nota e che il territorio tarantino, tutto non solo il rione Tamburi, vive da tempo. Il traffico di stupefacenti può contare di un bacino d’utenza particolarmente ampio e preoccupante. Se pensiamo a quel sequestro di via Machiavelli, dobbiamo triplicare il quantitativo di droga che sarebbe finito sul mercato alla fine del processo di confezionamento delle dosi. Capite bene che sono numeri notevoli. I il dato non può essere disgiunto dal dato dell’utenza che si affaccia a quel mercato: l’offerta è così ampia, perché la domanda lo è altrettanto. Partendo proprio dai numeri della domanda di droga, tutte le istituzioni dovrebbero avviare una riflessione importante. Noi possiamo fare solo prevenzione e repressione del reato. Al resto devono contribuire tutti».

Ma perché il mercato degli stupefacenti si è allargato in questa maniera? È cambiata qualcosa nel panorama criminale? O è una conseguenza dell’emergenza sanitaria?
«La nostra attenzione sul rione Tamburi, come su altre zone della città, Paolo VI, Salinella, il Borgo, è sempre stata altissima perché abbiamo contezza, anche grazie alle numerose operazioni e all’azione quotidiana dei Falchi della squadra Mobile, dell’ampiezza del mercato e del relativo fenomeno dello spaccio. Non ci sono solo le droghe cosiddette tradizionali. Ci sono anche le droghe chimiche, l’hashish e la marijuana. I clan mafiosi attivi sul territorio, e non parlo solo della città ma anche della provincia, si sono riconvertiti. Hanno puntato molto sul traffico degli stupefacenti perché, dal punto di vista remunerativo, rende meglio di attività che richiedono un maggiore presenza sul territorio e dunque anche di conseguenza maggiori rischi per gli affiliati di essere intercettati dalle forze di polizia».

Si spieghi meglio? In che senso riconvertiti?
«Determinate attività riconducibili alla natura mafiosa dei clan richiedono un costante e capillare controllo del territorio. E questo comporta presenza e visibilità che mette più a rischio gli uomini del clan, penso alle estorsioni, reato in calo non a caso nel 2020. Quella del traffico e dello spaccio degli stupefacenti è una attività molto complessa, ma abbassa il rischio di essere individuati e in qualche caso anche quello penale. Con il lungo periodo di lockdown a cui siamo stati sottoposti, anche la mala si è dovuta reinventare e ha diversificato i suoi affari».

Funziona allo stesso modo in città e in provincia?
«No, dobbiamo fare una distinzione tra le organizzazioni criminali del capoluogo e della provincia, e di quelle del versante orientale in particolare che hanno dato luogo a diverse inchieste (Impresa, Cupola, ndr). Queste ultime mantengono connotati tipici propri dei clan e risentono fortemente di condizionamenti legati alla presenza sul territorio della sacra Corona Unita».

La crisi che si è portata dietro il Covid, ha contribuito a questo processo di trasformazione degli affari di mala?
«Il lockdown ha determinato un generale calo di tutti i reati, per ovvie ragioni. Eravamo tutti chiusi in casa. Anche lo spaccio ha subito una flessione. Ma dopo la ripresa delle attività, il fenomeno è tornato in linea con il periodo precedente l’inizio della pandemia e dello stato di emergenza. Sicuramente è aumentata la nostra capacità di contrasto. Proprio ieri leggevo le statistiche sugli arresti. Siamo ad un più 30 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo consente di dare una lettura positiva dell’attività del nostro ufficio investigativo e del lavoro che quotidianamente i Falchi svolgono a contrasto dello spaccio di stupefacenti».

Dal suo osservatorio privilegiato sulla sicurezza e l’ordine pubblico, la crisi ha evidenziato qualche altra difficoltà? Ha favorito ad esempio altri reati come l’usura?
«Le denunce restano come sempre vicine allo zero, ma in questo campo non è una novità. Però qui occorre fare un distinguo. Bisogna discernere l’usura come realtà ad alto livello e usura molto estesa e altrettanto pericolosa quella che definisco “usura di vicinato”. Una usura quasi casalinga di minore importanza, ma che alla stessa maniera genera tragedie e drammi nei contesti familiari che ne vengono colpiti. La crisi ha acuito questi problemi e moltissimi, rimasti senza lavoro, sono dovuti ricorrere a piccoli prestiti usurari. Penso alla nostra ultima operazione di polizia giudiziaria denominata “Easy Credit” che ha sgominato proprio un giro di usurai di quartiere. L’attenzione in questo momento su tali fenomeni criminali è elevatissima: le organizzazioni come sempre accade vogliono approfittare del momento. Per questo stiamo cercando di monitorare a tappeto tutta la realtà provinciale».

Le rapine, altro fenomeno legato ai momenti di particolare crisi economica?
«Nel periodo delle feste siamo riusciti a contenerle. Pochi colpi e quasi tutti con importi risibili anche di poche decine di euro. In qualche caso abbiamo anche arrestato i responsabili. Sicuramente se siamo arrivati a questo risultato ha influito un massiccio dispositivo di controllo del territorio, messo in atto sotto il coordinamento della prefettura, con tutte le altre forze dell’ordine».

Il lockdown ha determinato l’aumento di altri reati? Sto pensando alla violenza familiare.
«Importante è stato il numero degli arresti per stalking e maltrattamenti. Abbiamo elevato su indicazione del nostro Dipartimento nazionale gli sforzi in questo campo, aiutandoci con tanti strumenti (app youpol, ndr) messi a disposizione grazie alla tecnologia per contrastare questo tipo comportamenti. Sappiamo che è più difficile denunciare, perché con le restrizioni per la pandemia maggiore è la permanenza in casa».

Una considerazione finale. Come ha congedato il 2020 e come ha accolto il nuovo anno la Polizia a Taranto?
«Con coerenza in primis e impegno sempre elevatissimi. La coerenza di portare avanti i nostri progetti e la nostra attività. L’obiettivo primario resta sempre quello di lavorare per avere risultati e, attraverso quei risultati, arrivare ad avere la fiducia da parte della comunità. Che significa anche sperare, in questa maniera, di ottenere risultati sempre migliori. Senza il sostegno della comunità, senza cooperazione non andiamo avanti. Acquisire la fiducia della gente, dei cittadini e lavorare in sinergia con la comunità per le loro esigenze, rispondere nella maniera migliore possibile alle istanze che da quella comunità provengono. Questo mi auguro per l’anno appena cominciato. E il pensiero va alla notte di Capodanno e alle indagini su quei video diventati virali che mettevano Taranto in cattiva luce. Se siamo arrivati a denunciare gli autori di quei gesti, è frutto della capacità dei nostri uomini, del fatto che sono profondamente legati al territorio e alle sue dinamiche e sanno come potersi muovere in maniera tale da arrivare ai risultati sperati in tempi brevissimi».

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