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Redazione online
16 Novembre 2019
TARANTO - Dopo il caso Mittal che in queste ore tiene banco a livello nazionale, accendendo ancora una volta i riflettori sulla città ionica a causa della questione dell'ex Ilva, una ragazza tarantina di 33 anni, Stella Pulpo, emigrata a Milano, scrive un lungo post dedicato alla sua città all'interno del blog memoriediunavagina. Le sue parole veicolano l'attenzione non sulla questione occupazionale dello stabilimento siderurgico, ma su quella sanitaria. Un vero e proprio pugno nello stomaco per chi legge. Il post nel giro di poche ore è diventato virale sul web racimolando consensi da tarantini e no che si identificano perfettamente nello scritto di questa blogger 33enne.
«Io sono di Taranto. Ce l’avete presente, Taranto? Quella città del sud Italia, ex colonia della Magna Grecia, disposta in posizione strategica nel Mediterraneo, al centro di un golfo creato dalla Puglia e dalla Calabria che si allungano nel mare come un abbraccio? Ecco, io vengo da lì. A Taranto ci sono il Mar Grande e il Mar Piccolo; i pali delle cozze e un porto industriale; due colonne doriche in Piazza Castello, e l’Eni; la Marina Militare e un Ponte Girevole che si apre per consentire il passaggio delle navi giganti. Ma a Taranto c’è anche la più grossa industria siderurgica d’Europa: Arcelor Mittal, ex Ilva, ex Italsider. C’è tanta di quella roba che Taranto dovrebbe essere una città prospera, ricchissima, e invece no. Taranto è una città abusata, svuotata, impoverita, dimenticata, ammalata - scrive la blogger - Io sono di Taranto e, per tutta la vita, ho visto la gente morire di tumore. A Taranto chiunque di noi ha almeno un parente o un amico che lavora con l’acciaio. E chiunque di noi ha almeno un parente o un amico che è morto con l’acciaio. Adulti, bambini, vecchi. Maschi e femmine. Ricchi e poveri. Il cancro è democratico, colpisce chiunque, a qualsiasi età, di qualsiasi partito, religione, orientamento sessuale. La malattia in sé non discrimina, ma naturalmente i più poveri, o i più ostinati, quelli che dal quartiere Tamburi non sono scappati, s’ammalano e muoiono di più. Ma non è una gara. Di base s’ammalano e muoiono un po’ tutti».
E poi sottolinea: «A 18 anni, a Taranto, puoi votare, puoi guidare la macchina, e hai già visto morire un buon numero di persone a cui volevi bene. È di questo che si parla, anche, quando si parla di Taranto. Non solo del prodotto interno lordo. Immaginatevi come sia vivere cercando un armistizio costante con la morte. Chiedendosi quanto tempo resta, prima che ciò che sta succedendo a tutti i tuoi amici e ai tuoi conoscenti, capiti anche a te e ai tuoi cari. Prima che la peste nera contagi la tua esistenza, segnando in maniera indelebile la tua storia personale, da più fronti, in contemporanea. Chiedetevi come sia ammalarsi senza avere neppure un sistema sanitario all’altezza dell’emergenza in corso. In tutto questo, c’è il dramma quotidiano degli operai, quelli citati a sproposito da Salvini insieme con la Vergine Maria e la sagra del cinghiale della Val Brembana.Ci sono le vite di chi preferisce lavorare e ammalarsi ma avere qualcosa da far mangiare ai figli alla sera.E ci sono le vite dei cittadini, che vorrebbero solo respirare, lavorare, amare, crescere come succede in molti altri posti ma non possono. Essi vivono sotto il costante, subdolo ricatto: SALUTE o LAVORO? Questo è il dilemma».
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