In occasione della XXI edizione di Ischia Global Fest, Pupi Avati è stato insignito dell’Ischia Legend Award – «In the name of Truman Capote» per il suo ultimo film: Dante.
Maestro, un nuovo tributo al suo straordinario talento...
«È un premio che mi commuove profondamente e mi riempie di orgoglio; Truman è stato un uomo che non ha saputo gestire il successo, leggo spesso un suo libro dal titolo Preghiere esaudite».
Si parla di un suo progetto cinematografico su Ischia.
«Ischia è un’isola che mi affascina particolarmente ed è già da qualche tempo che stiamo pensando di ambientare lì un film che riprende una storia del ‘700 fra il Castello Aragonese d’Ischia e un monastero a Noto in Sicilia. La trama è affascinante ed è piaciuta molto a Guillermo del Toro al punto di volerla produrla insieme a me. Per adesso siamo in standby in quanto la lavorazione del film richiede un impegno finanziario molto importante».
Lei è stato premiato ad Ischia per l’opera «Dante».
«Dante è un film biografico a cui sono approdato dopo essermi reso conto che non era mai stato fatto un film sulla vita del sommo poeta e che le biografie accademiche raccontano molto poco della sua sfera privata , della sua personalità, di molti aspetti caratteriali estremamente interessanti che stimolerebbero di certo i lettori ad andare a studiare le sue opere. Ho cercato di scrivere la sceneggiatura del film sotto la forma del romanzo, una sorta di biografia che fosse la più seducente possibile e che ci raccontasse un Dante nella sua quotidianità, un Dante molto umano, una figura fragile con un talento smisurato e, nonostante ciò, destinato a soffrire dolori incommensurabili».
«La quattordicesima domenica del tempo ordinario» è stato definito da molti il suo film più bolognese.
«Esatto; il film che vede tra i protagonisti Gabriele Lavia ed Edwige Fenech, è ambientato nella Bologna degli anni ‘70 ed è stato girato interamente all’interno delle mura della città. La storia è molto dura, ed umana: Marzio, Samuele e Sandra sono giovani e pieni di sogni. Marzio e Samuele fondano il gruppo musicale «I Leggenda» ed inseguono il successo ma una lettera di rifiuto li fa naufragare ed allontanare tra di loro. Sandra invece, vuole diventare indossatrice. Marzio sposa Sandra ma la vita non sarà quella che avevano immaginato, il loro rapporto si sgretola e precipitano nel baratro, da dove è difficile risalire.
Ma poi i due protagonisti si ritrovano nel tempo?
«Infatti; Marzio e Sandra, soli e senza più nulla a cui aggrapparsi, un giorno si “riparano”e ricominciano ad amarsi».
Questo vuol dire che il film è ricco di sentimenti?
«In un certo senso sì; lo potrei definire un grande contenitore in cui si riscontrano il tempo che passa e ti chiede il conto, l’amore e la malsana gelosia».
Maestro l’intelligenza artificiale produce un certo timore anche nel cinema; qual è il suo parere?
«Le persone veramente creative non devono avere nessuna paura, perché sanno che la creatività la devono al dolore, al senso di inadeguatezza, alla vulnerabilità, moti dell’anima che l’intelligenza artificiale non produce».
Ci sono rischi per la libertà intellettuale?
«Assolutamente no; con l’affermarsi dell’intelligenza artificiale ci sarà una grande selezione in campo professionale perché gli incompetenti non riusciranno più ad essere all’altezza di questo tipo di interlocuzione; in una parola, si alzerà di livello».
Avati da ragazzo sognava di fare il musicista?
«Abbandonai l’Università dove frequentavo la facoltà di Scienze Politiche, perché volevo suonare il jazz ma, pur essendo molto appassionato di musica, non avevo un grande talento per fare questo mestiere ed allora con grande dolore decisi di smettere».
Qual è stato il suo approccio al cinema?
«Un giorno mi recai al cinema a vedere Otto e mezzo di Federico Fellini e ne rimasi talmente affascinato che in quel momento capii che il cinema sarebbe dovuto divenire la mia vita».
L’elisir per fare carriera nel cinema?
«In primis occorre avere talento, ovvero una predisposizione genetica e poi bisogna studiare tanto con serietà e dedizione».
Come ci si accorge di avere talento?
«Provando a raccontare delle storie, scrivendole; la scrittura è alla base di tutto, non esiste nessun film che non venga fuori dalla scrittura».
Avati lei è considerato tra i più grandi registi italiani contemporanei; il suo segreto?
«Non ho segreti, perché non ho successo, sono un semplice professionista del cinema».