punti di vista
Solstizio d’estate tra luci ed ombre
Nei giorni più lunghi e luminosi dell’anno, il sole rovente cuoce lo skyline della città di tufo mentre le ombre di un’anatra zoppa si allungano sul plateau della Murgia. C’è qualcosa di bipolare, schizofrenico in questa fluttuazione tra luci e ombre che si addensano all’orizzonte. Siamo grati a Matera perché ci sorprende ancora e, dopo queste elezioni comunali, ne siamo ancora più consapevoli: è la regina dell’ambivalenza. In un mondo sempre più distopico, conoscere in profondità le implicazioni psichiche del bipolarismo creativo può aiutare a discernere meglio la coscienza democratica di chi ha superato l’epoca delle certezze assolute e delle fedi cieche e si muove con disinvoltura nella postmodernità frammentata.
In questo nuovo clima emotivo e culturale, dove la coerenza non è più un valore stabile, abbiamo elettori liquidi, gassosi, fluttuanti tra appartenenze fuse, identità multiple, dubbi costruttivi. Disgiungono voti e, attraverso una sofisticata azione di equilibrismo istituzionale, dichiarano e dimostrano di non fidarsi di nessuno. Votano due anime, due logiche, due messaggi. Di fatto, non scelgono, disturbano provando il brivido di un sabotaggio benigno. Con il timone affidato a uno e il freno a mano all’altro, gli scacchisti zen, tra coinvolgimento e disillusione, si fanno presenza e assenza. Così danno il via alla sagra della sfiducia, in una danza dell’ambiguità civica. In fondo, in un luogo dove la storia si intreccia alla geologia e ogni pietra ha memorie fossili, c’è un’aurea epica che si espande tra le identità frammentate.
Siamo e rimaniamo antichi e moderni, conservatori e visionari, contadini e cosmopoliti. Conteniamo moltitudini. Il bipolarismo, in ambito psichiatrico, è caratterizzato da oscillazioni estreme tra stati emotivi opposti e nella nostra geografia cittadina noi siamo il paziente che oscilla, elettore e sabotatore, padre e patrigno, innamorato e gelido, ex allo stesso tempo. Il sindaco vince ma non regna, il consiglio ha il potere ma non l’agenda, la città osserva l’atto poetico della democrazia: un haiku amministrativo. Nasce allora un amore senza fiducia che ha il sapore di una beffa gentile e di una impresa titanica. Nel quadro clinico cittadino, si intravede l’adozione di una terapia d’urto non richiesta. Sarà come ballare il tango con uno stivaletto ortopedico. E tuttavia, Matera ce la farà. Ce la fa sempre. Perché è più grande delle sue crisi, più autorevole dell’ego dei suoi uomini e più bella delle sue polemiche. La luce, quella sì, è la vera terapeuta. Scende lenta, nei vicoli, tra le pietre, mentre si sente sussurrare una voce: “Va bene così. Anche oggi non avete risolto nulla. Ma che spettacolo, eh?”