PUNTI DI VISTA
La febbre da ballottaggio e il voto ai referendum
In città inoltre si discute del futuro dell’ex Ilva
Nulla è capace di mitigare la febbre da ballottaggio che attanaglia Taranto! Nemmeno la poesia riesce a sciogliere l’ansia da prestazione dei contendenti, nonostante che le parole care a Calliope abbiano preso recentemente dimora a Pulsano, grazie all’abnegazione dell’editore Giancarlo Lisi e al suo riuscitissimo «Torneo dei poeti», vinto dal potentino Pasquale Lenge. Niente: si parla solo di ballottaggio, ballottaggio, ballottaggio! Una forma di votazione che gli italiani (per la precisione: veneziani e toscani di secoli e secoli fa) sono riusciti addirittura ad esportare; pensate – per esempio - che l’urna elettorale con cui si elegge il Presidente degli Stati Uniti d’America si chiama, appunto, ballott box .
A dar retta ai social, per il bene di Taranto dovrebbero perdere tutti e due: tanto Tacente, quanto Bitetti. Tale assurdità ridimensiona il peso elettorale di ogni mezzo invasivo di esternazione indiscriminata. I like non sono voti e i mezzi di intercettazione del consenso nelle urne si muovono su sentieri a volte indigeribili, altre incomprensibili, spesso ingiustificabili. Certo, la contemporaneità del voto referendario porterà ai seggi soprattutto i sostenitori dei «5 Sì»; questo andrà a vantaggio del candidato armonico a tale sentire e servirà di lezione a quelli che invitano ad affollare le marine ioniche, invece di recarsi al seggio a votare «5 No». Ma di fessi è piena la Storia e di questo conviene farsene una ragione.
L’altro argomento di cogente interesse è un evergreen: il destino futuro dell’ex Ilva, che ormai cade a pezzi. Negli ultimi giorni ci sono stati i gas di Afo e Cockeria dispersi nell’aria, acqua nel convertitore di Acciaieria1, carri siluro vuoti, arrivederci e grazie di Afo1, Afo4 fermo per mezza giornata e Acciaieria1 così a rischio di incidente rilevante al punto che alcuni operai temono di lavorarci dentro. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sull’argomento, così si è espressa pochi giorni fa all’interno dei lavori dell’Assemblea di Confindustria: «Tutti gli attori diano una mano e non ci siano attori che preferiscono mettere i bastoni tra le ruote. Credo che tutti comprendano cosa c’è in ballo». Applausi dei confindustriali. Figuriamoci. Il lessico che tiene insieme «attori» e ‘«ballo» mi ha fatto tornare alla memoria una delle immagini finali de «Il settimo sigillo» di Ingmar Bergman. «L’ora è venuta» dice Bibi Andersson, sgranando i mitici occhi azzurri. Anche la presidente Meloni è dotata di meravigliosi occhi azzurri. Ma credo non veda, al contrario dell’artista svedese, la fila di attori che ballano, trascinati da Beng Ekerot, pallido e munito di falce e di clessidra. Dicono che Bergman abbia girato quella scena ai «Tamburi», ma non credo. Mi toccherà controllare, però, la veridicità della notizia. Con la Morte ci vuole prudenza.