Il dibattito

Sanità in Puglia, «L’assistenza territoriale senza fondi e personale»

G. Flavio Campanella

I dubbi di Mazzarella (Cgil). «I medici di base devono essere inseriti pienamente nel Ssn»

BARI - L’inchiesta della Gazzetta sugli interventi in Sanità finanziati dal Pnrr ha favorito un interessante dibattito. Giovedi è stato pubblicato l’intervento di Ludovico Abbaticchio, barese, medico di medicina generale, presidente nazionale dello Smi (Sindacato medici italiani), che ha sottolineato il rischio che Ospedali e Case di comunità, una volta realizzate, siano cattedrali nel deserto. Ora è la volta di Antonio Mazzarella, coordinatore della Cgil Medici Puglia, che stamattina parteciperà a Roma alla manifestazione nazionale in difesa del diritto alla salute delle persone e nei luoghi di lavoro e per la difesa e rilancio del Servizio sanitario nazionale (altre iniziative si sono svolte recentemente a livello locale).

«Nel nostro territorio il regolamento regionale che definisce i modelli e gli standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale è stato approvato con una illustrazione alle parti sociali che ha lasciato intravedere per un momento un percorso di confronto e condivisione delle scelte di potenziamento dell’assistenza territoriale, che invece ad oggi non ha visto compiuta e piena realizzazione. Purtroppo le disposizioni regionali, conseguenza comunque di una imposizione del Governo, di fatto confermano la Puglia fra le regioni in Piano di rientro, prefigurando il commissariamento e prevedendo, a causa del pesante disavanzo del Ssr nell’esercizio 2022, drastiche misure per il contenimento della spesa sanitaria: blocco di ogni tipologia di reclutamento del personale, comprese le procedure concorsuali in atto e programmate, di nuovi incarichi di responsabilità di strutture complesse e semplici nei presidi, degli acquisti di prestazioni socio-sanitarie dal privato accreditato e da strutture extraregionali se non debitamente autorizzate, riduzione significativa della spesa farmaceutica e dei dispositivi medici, divieto di effettuare spese per investimenti per l’adeguamento strutturale, per il potenziamento tecnologico, per gli acquisti di beni e servizi durevoli da parte di ogni azienda sanitaria pubblica (fatti salvi provvedimenti di estrema urgenza preventivamente autorizzate dalla Regione) e l’immancabile riorganizzazione della rete ospedaliera e di quella territoriale, al fine di concentrare l’erogazione di specifiche attività di particolare complessità nelle sole strutture di riferimento. Temiamo che possa essere pregiudicata la realizzazione della Missione 6 Salute (Ospedali e Case di comunità - n.d.r.) soprattutto in relazione al reclutamento di personale».

Mazzarella, insomma, condivide i dubbi espressi dai colleghi circa la mancanza di una programmazione che consenta di rendere realmente operativi, una volta realizzati, Ospedali e Case di comunità.

«Da questo punto di vista - afferma il coordinatore di Cgil Medici, che è dirigente medico al Policlinico - riteniamo ineludibile un nuovo modello delle cure primarie che veda i medici di base e gli specialisti ambulatoriali pienamente inseriti nel Ssn, col graduale passaggio da un rapporto di convenzione a quello di dipendenza, in modo da lavorare fianco a fianco con i medici e gli altri operatori ospedalieri, godendo, particolare non di poco conto, delle stesse tutele e garanzie dei dipendenti. Solo in questo modo potrà realizzarsi una vera integrazione ospedale-territorio. Il modello organizzativo della medicina territoriale nazionale attuale, invece, è un ibrido che mette insieme le istanze corporative del sindacato maggioritario della medicina convenzionata, che ha preteso e ottenuto la quota capitaria (compenso per numero di assistiti costantemente superiore a quello previsto), e le richieste delle Regioni di un maggior coinvolgimento nelle Case di Comunità, che ha portato l’impegno orario a 38 ore settimanali. Tale modello lascia i medici di assistenza primaria isolati nei propri studi privati del tutto avulsi dal Ssr, sovraccaricati di procedure amministrative sempre più complesse, che sottraggono tempo all’assistenza e obbligandoli anche a svolgere una parte delle loro attività, per poche ore alla settimana, nelle Case e negli Ospedali di Comunità. Rimane, infine, il macigno del reclutamento del personale necessario a far funzionare Case ed Ospedali di Comunità, COT, Distretti eccetera, considerando le gravissime carenze di medici e infermieri. Temiamo, per questo, un ulteriore massiccio impulso alla privatizzazione del Ssn in mano a banche, fondi di investimento, compagnie assicurative e pseudo cooperative di medici ed infermieri».

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