Il caso

Quel precedente poco illustre dello «Stealth» abbattuto dai serbi

Armando Fizzarotti

Nella guerra del Kosovo, doccia fredda sul Pentagono. Soccorsi da Brindisi

«Vega 31» è una sigla che ancora oggi fa fare brutti sogni a generali in servizio e veterani dell’aviazione militare sotto l’«ombrello» Usa-Nato. È infatti il nome in codice dell’identificativo radio dell’unico jet da combattimento «stealth» (invisibile ai radar, ma solo in teoria come poi dimostrarono i fatti) abbattuto finora nella storia militare mondiale.
«Vega 31» era un bombardiere F-117 (velivolo utilizzato solo dall’Usaf, l’aviazione militare statunitense) pilotato dal tenente colonnello Darrell Patrick "Dale" Zelko e decollato da Aviano (Friuli) la sera del 27 marzo 1999.

Poco dopo aver sganciato le sue due bombe nei pressi di Novi Sad (serbia settentrionale, circa 100 chilometri a ovest di Belgrado) in quella che per lui, veterano della Guerra del Golfo, doveva essere una missione di routine, sulla rotta di ritorno in Italia, nell’area di Budanovci, sempre in Serbia, visse un’esperienza che la «garanzia - stealth» avrebbe dovuto evitargli. I radar della 250ª Brigata missili anti aerei dell’esercito yugoslavo intercettarono il suo F-117, facendo così partire istantaneamente un gruppo di missili S-125 «Neva» (Sa-3 Goa nei codici Nato). Non ci fu scampo. Zelko dovette azionare il sistema di espulsione del suo seggiolino e riuscì giusto a inviare alle forze alleate un «sos» con la sua radio portatile mentre nella notte scendeva appeso al paracadute nelle campagne di Ruma. Ungheria a nord o Romania ad est erano distanti almeno 130 chilometri e l’«impresa» che fino ad allora era ritenuta impossibile da chi aveva progettato il F-117, realizzata dai tenenti colonnello Zoltan Dani e Dorde Anicic, scatenò in brevissimo tempo la caccia all’uomo con gruppi di soldati, cani da fiuto e cellule fotoelettriche montate sui camion dell’esercito yugoslavo.

Furono quelli (la «Allied Force», nome in codice della guerra per il Kosovo, durò dal 24 marzo al 10 giugno) per l’Italia mesi di guerra, con gli spazi aerei chiusi per le operazioni militari e reparti della Nato dislocati su tutta la costa est della Penisola (ricordiamo i missili antiaerei piazzati all’aeroporto di Bari - Palese). Tutte le basi militari pugliesi erano in prima linea e a Brindisi operava la «Joint Special Operations Task Force 2» americana con gli equipaggi da ricerca e soccorso («combat sar») a bordo degli elicotteri MH-53 e MH-60. Tre elicotteri con i loro team già a bordo erano già stati inviati in preallerta, nel tardo pomeriggio, sulla base aerea di Tuzla (Bosnia Erzegovina). Da lì i tre «commando», agli ordini del tenente colonnello Stephan J. Laushine, volarono a bassissima quota nella notte fino a Ruma (i piloti erano equipaggiati con i visori notturni ed evitarono per un soffio l’impatto con cavi di alta tensione delle linee elettriche) e riuscirono a recuperare e riportare a Tuzla il pilota abbattuto, poco prima che le pattuglie serbe riuscissero a catturarlo.

Zelko fu poi rimpatriato da Aviano e i pezzi del suo F-117 non più «invisibile» suddivisi fra russi e cinesi per carpire alle industrie belliche statunitensi i «segreti» della tecnologia «stealth».
La notte del 7 maggio successivo un bombardiere «stealth» B-2 bombardò «per errore» l’ambasciata della Cina a Belgrado (9 le vittime), il F-117 è stato radiato dai reparti dell’Usaf nel 2008, e l’ex comandante serbo Dani oggigiorno fa il panettiere. Con il «suo» pilota abbattuto si sono incontrati a guerra finita per una «rimpatriata» fra ex nemici.

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