Politica

Raffaele Fitto è vicepresidente esecutivo della Commissione Ue: «Davanti a noi sfide cruciali»

Michele De Feudis

Il via libera definitivo al ministro salentino: «Faremo l’interesse dell’Europa». Alla fine il suo profilo moderato ha convinto anche i più scettici tra i socialisti

BARI - Anni di lavoro tra Maglie e Bruxelles, il meritorio lavoro di costruzione di una casa europei per i conservatori, un approfondimento costante dei temi Ue, dall’Agricoltura alla Coesione, e ora finalmente il via libera al più importante incarico continentale per un pugliese: dopo il voto parlamentare a Strasburgo il ministro Raffaele Fitto è il nuovo vicepresidente esecutivo della Commissione guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen.

«L’Ue - commenta poco dopo il via libera a Strasburgo dell’Eurocamera, dove militava prima di entrare nel governo guidato da Giorgia Meloni - si trova di fronte a sfide cruciali da cui dipende il suo futuro: nei prossimi anni sarà fondamentale lavorare tutti insieme e dare prova di unità». Politico di formazione democristiana, dal 1994 ha sempre militato in formazioni moderate di centrodestra. Nel 2015, dopo la rottura con Silvio Berlusconi, è stato il pioniere italiano del conservatorismo, aderendo al gruppo dei Tory nel parlamento europeo, e - dopo le politiche del 2018 - ritrovando una centralità politica con l’adesione a Fratelli d’Italia, di cui ha rappresentato in pieno l’anima pragmatica e governista. Il suo vissuto, costruito su impegno quotidiano, elezioni con le preferenze e studio costante dei più complicati dossier economici, ha smontato tutte le tesi propagandiste dei progressisti europei, determinati nello sbarrare la strada ad un esponente della destra in ruolo apicale della Commissione. Questa posizione ostile è stata assunta dai socialisti francesi, mentre i tedeschi della Spd si sono astenuti perché «per la prima volta nella storia delle istituzioni Ue un rappresentante di un partito post-fascista sta per ottenere una posizione di leadership». Non scontato ma politcamente rilevante il via libera positivo della delegazione del Pd: verso questo orientamento si è speso anche il pugliese Antonio Decaro, frose prevedendo che - se diverrà il successore di Michele Emiliano - l’interlocuzione con Fitto sarà preziosa. I Verdi e la sinistra (compresi i 5S) hanno fatto le barricate. Ma alla fine il patto tra i popolari (che hanno difeso Fitto come uno dei loro), i socialisti e i liberali alla fine ha tenuto, i franchi tiratori non sono risultati determinanti nel conto finale e l’esecutivo Ursula 2 ha avuto un via libera con numeri sufficienti (inferiori però a quelli del passato).

Fitto, ora, rilancia il tema dell’unità, come collante per le sfide di un’Europa stretta tra due guerre e una crisi energetica senza precedenti. «Solo in questo modo - argomenta il politico salentino- saremo in grado di vincere le sfide, rilanciare il progetto europeo e difendere con forza i valori su cui esso si fonda». «Questi obiettivi - aggiunge - potranno essere raggiunti solo con il contributo di tutti: ogni mia energia e tutto il mio impegno dei prossimi cinque anni saranno dedicati a questo scopo, nel pieno rispetto dei Trattati e a difesa dell’interesse comune europeo».

In queste settimane roventi Fitto ha ricevuto un endorsement di peso assoluto: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per ben due volte ha salutato con favore l’indicazione del governo Meloni per il ministro pugliese come «braccio destro» della von der Leyen. Il rapporto con il Colle, del resto, è antico e consolidato al punto che nel 2015 la pattuglia di centrodestra che votò (in dissenso dal Cav) Mattarella presidente era capeggiata proprio dal politico di Maglie, da sempre attento alla stabilità del sistema istituzionale italiano.

Sul fronte europeo, invece, hanno avuto riscontri positivi le interlocuzione con i popolari, da Manfred Weber a Roberta Metsola, personalità da sempre in sintonia con Fitto, e tra le prime a favorire il percorso di mediazione diplomatica che ha vinto le resistenze degli oppositori più ideologici. Di fatto a Bruxelles ora si inizia a manifestare l’ipotesi di un ricorso periodico «alla politica dei due forni» di tradizione italiana: sui temi green le maggioranze saranno sbilanciate a sinistra, sull’immigrazione e sull’industria i popolari non si precluderanno sintonie non solo con i conservatori ma anche con i patrioti di Victor Orban e Marine Le Pen (non a caso il dem Nicola Zingaretti ha stigmatizzato il rischio di una destra più radicale coinvolta nelle dinamiche Ue).

La partenza di Fitto per i vertici europei lascia un vuoto nel governo Meloni: la leader potrebbe assumere per qualche settimana l’interim degli Affari Europei e del Pnrr, in attesa di individuare chi potrà ricoprire il ruolo di «gestore» del Piano europeo, mentre le altre deleghe potrebbero essere parcellizzate. Lega e Fi non reclamano spazi, ma tra i meloniani ci sono più aspiranti. L’azzurro Antonio Tajani ha tagliato corto, lanciando un messaggio: «Sarà il presidente del Consiglio a dire l’ultima parola (sulle nomine, ndr), ne parleremo. Per quanto riguarda gli Affari Europei mi ascolterà». Tra i papabili per assumere come sottosegretario la delega alle questioni continentali anche la pugliese Ylenia Lucaselli, molto vicina al premier, nonché parlamentare alla seconda legislatura.

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