Il caso

Taranto, riparte il processo «Ambiente svenduto» ma crollano le parti civili: da 1.200 a 300

francesco casula

Gli imputati scendono a 23: il processo è ormai svuotato. Nella prima udienza a Potenza del processo bis di Ambiente Svenduto sulle emissioni e il presunto disastro ambientale dell’ex Ilva, Taranto non si è vista

POTENZA - Taranto non si costituisce parte civile. O almeno non come ci si aspettava. Nella prima udienza a Potenza del processo bis di Ambiente Svenduto sulle emissioni e il presunto disastro ambientale dell’ex Ilva, Taranto non si è vista. Meno di 300 le richieste di costituzione di parte civile a fronte delle 1.200 del maxi processo annullato nel capoluogo ionico. Allo stato degli atti solo una potenziale vittima della fabbrica su 4 ha scelto di continuare la battAglia giudiziaria. Non ci sono più i miticoltori, una delle categorie più danneggiate dall’inquinamento dello stabilimento siderurgico. All’appello manca anche Vincenzo Fornaro, l’allevatore a cui furono abbattute centinaia di pecore perchè avvelenate dalla diossina: l’uomo diventato un simbolo della lotta ambientalista e candidato sindaco nelle ultime amministrative, forse, ha gettato la spugna. Almeno nelle aule di giustizia.

A chiedere i danni si sono presentate però alcune delle storiche associazioni ambientaliste impegnate nella battaglia come Peacelink, con a capo Alessandro Marescotti, o Altamarea, Legambiente. E poi c’è il comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e pensanti. Ci sono i sindacati come Cgil, Slai Cobas e il partito di Europa Verde. E ancora hanno chiesto di costituirsi parte civile alcuni abitanti del rione Tamburi, ma non tutti quelli che c’erano in passato. Alcuni avvocati hanno sostenuto che per i loro assistiti già seguiti nel precedente giudizio era sufficiente la precedente richiesta, ma il giudice Francesco Valente ha dato tempo fino al prossimo 4 aprile per presentare le nuove istanze. Il numero potrebbe aumentare, ma ieri, erano bassi. Bassissimi. La fine ingloriosa del primo processo, trasferito a Potenza con l’annullamento della sentenza di primo grado, potrebbe aver influito. E pi, il cpaoluogo lucano è lontano e le spese degli avvocati per le trasferte vanno pagate.

Restano ovviamente gli imputati. Anche quelli più che dimezzati. Sono 23 invece dei 47 iniziali: la prescrizione ha falcidiato oltre la metà delle posizioni sotto accusa. Alla sabrra ci sono ancora Nicola e Fabio Riva, ex proprietari della fabbrica ionica che insieme con l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, l’avvocato Francesco Perli e i fiduciari Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico Bessone, devono difendersi dalle accuse di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. E poi altri dirigenti un solo politico: l’ex Governatore di Puglia Nichi Vendola, accusato di concussione per aver fatto, secondo gli inquirenti, pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia Giorgio Assennato affinché ammorbidisse la linea nei confronti della fabbrica. Nell’elenco, inoltre, compare anche Lorenzo Liberti, ex consulente della procura accusato di disastro ambientale perché secondo l’accusa con una sua perizia scritta per salvare la fabbrica in cambio di una tangente di 10mila euro, non avrebbe impedito la diffusione di sostanze nocive nell’area intorno all’acciaieria ionica. La prossima udienza è stata fissata per il 4 aprile.

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