I FATTI
Potenza, una condanna da 1,5 milioni per il finanziamento al caseificio
Decisione della Corte dei Conti sull’intervento rientrante nel Patto Basilicata Nord-Occidentale
I contributi ottenuti per il programma occupazionale sono stati correttamente e completamente tutti investiti nella realizzazione dello stabilimento finanziato nel progetto, ma ugualmente la società e olui che nel tempo è stato prima presidente del Consiglio di Amministratore e poi liquidatore sono stati ugualmente condannati a pagare un milione e mezzo di euro di danni oltre a rivalutazione e interesse consistenti nell’intero contributo ricevuto.
La decisione adottata dalla Corte dei Conti della Basilicata nei confronti della società «La Valle dell’Oro snc» (difesa dall’avv. Pierluigi Smaldone) e del suo amministratore Donato Santoro (avv. Agostino Parisi e avv. Domenico Pace) si basa essenzialmente su un elemento: l’occupazione stabile prevista nell’investimento (30 addetti) non è stata realizzata e per questo il contributo deve essere restituito.
La storia nasce a inizio del millennio, precisamente nel 2001 con l’approvazione da parte del Ministero dello Sviluppo economico del Patto Territoriale «Basilicata Nord Occidentale» nell’ambito della quale era inserito l’investimento della «Valle dell’Oro», un caseificio (da ubicare prima a Bella e poi a Baragiano) che grazie a un contributo di un milione e 100mila euro avrebbe trasformato parte del tanto latte prodotto in zona dando lavoro a 30 persone.
La realizzazione dell’opificio finì con un leggero ritardo (regolarmente autorizzato) nel 2005 e da quella data scattarono i termini per verificare il rispetto degli impegni assunti «a regime», un traguardo che fu individuato nell’anno 2008. Ma nel 2008 i dati sull’occupazione non vennero trasmessi. Il risultato fu che nel 2010 vennero avviati i procedimenti di revoca del contributo, perfezionati il 2012 con l’emissione dle relativo decreto e, successivamente, con la cartella esattoriale. La società, intanto, è passata dall’attività alla messa in liquidazione e quindi al fallimento e per il recupero delle somme si è mossa anche la procura contabile, col sostituto procuratore Giulio Stolfi, che ha chiamato in causa anche il vertice societario. E i giudici (Vincenzo maria Pergola presidente, Giuseppe Tagliamento e relatore e Massimo Gagliardi consigliere) alle obiezioni difensive circa il fatto che le somme non fossero state distratte dalla loro destinazione originaria essendo stato realizzato lo stabilimento, hanno risposto che «l’erogazione finanziaria de qua si manifesti e si giustifichi in chiave di strumentalità alla realizzazione di un più ampio programma di investimento, a sua volta preordinato e “pensato” per creare e garantire un dato livello di nuova occupazione lavorativa». La presenza del danno, inssomma, va valutata «(non solo) sulla “costruzione” dell’opificio o del manufatto industriale, ma (anche e soprattutto) sul conseguimento della “finalità sociale” rappresentata dall’accrescimento del livello occupazionale». E gli accertamenti di Guardia di Finanza e Ispettori del lavoro parlavano di stabilimento chiuso, buste paga corrispondenti a mensilità non versate (4 nel 2008 più la tredicesima) e persone che «dopo i primi mesi di attività lavorativa regolarmente svolta e retribuita, venivano “sospesi” o “invitati a rimanere a casa” in attesa di un ipotetico richiamo e comunque privi di retribuzione». Era stato raggiunto solo il «formale rispetto dell’indice occupazionale».
Insomma «unità lavorative formalmente assunte, ma non occupate effettivamente» che configurano «illiceità comportamentali in grado di alterare e compromettere la compiuta realizzazione del progetto di sviluppo industriale» imponendo il recupero delle somme erogate in danno della stessa società e del presidente della stessa «al tempo degli illeciti come infra descritti, a nulla rilevando la posizione dello stesso all’epoca della costruzione dell’insediamento produttivo».